iPhone e Interflows
L’altro giorno, leggendo dell’anniversario del lancio dell’iPhone – l’ormai supernoto e sempre universalmente desiderato smartphone targato Apple – mi sono accorto che c’era un altro anniversario da festeggiare: la costituzione di questo mio spazio online. Cinque anni fa, provando a ragionare in termini di logica e (soprattutto) di estetica, esordivo su questo mio piccolo contenitore proprio parlando dell’iPhone – lo scritto è stato poi riversato nel libro Media e computer liquidi (2008). Al tempo, il lancio del prodotto suscitò un eccitamento popolare che, come dimostrano gli odierni (unanimi tributi) ma anche i fenomenali dati di mercato, non ha poi deluso.
L’argomento si presentava interessante per diversi motivi e stimolava una ricerca sulle relazioni che un medium della comunicazione riesce a instaurare con le persone in termini di funzionalità ma anche di sensibilità, emozione e intelligenza, dando forma e canalizzando esperienze condivisibili, un tema che, con l’esplosione dei media digitali nella nostra vita quotidiana, acquista una costante centralità (Diodato, Somaini 2011) – anche per le evidenti implicazioni ideative e produttive nel settore ICT. In più, la materia ben si prestava a essere trattata con un approccio mediologico, per cui i media della comunicazione andrebbero pensati «come ‘luogo’ dell’esperienza contemporanea, come territorio di produzione e di negoziazione dei linguaggi espressivi e delle forme simboliche, come ambito per la costruzione di percorsi di senso, sia individuali che collettivi, come luoghi dell’abitare cognitivo e corporeo, veri e propri mondi» (Boccia Artieri 2012).
Per ricordare questi eventi richiameremo direttamente alcune tracce dello scritto partendo dall’apertura della ricerca: «l’iPhone può essere un case study aggiornato per esplorare, in continuità con l’evoluzione dei servizi e delle reti wireless, la compenetrazione tra le implementazioni tecnologiche e i piani esistenziali, ideali ed emotivi, ad esse associati. Il suo successo infatti può essere interpretato solo alla luce di un contesto che deve integrare la logica dello sviluppo tecnico agli aspetti estetici e quindi inevitabilmente esperieziali delle persone che vogliono/devono vivere un mondo fortemente innervato dai media digitali… Un dispositivo di comunicazione che voglia avere delle chance di mercato deve incorporare le ultime tendenze maturate in campo tecnologico e prestarsi a soddisfare le reali esigenze dell’utenza target. Con il capitolo “Logica dell’iPhone” descriviamo la prima parte dell’equazione, vale a dire l’insieme di vincoli tecno-economici che stanno guidando la ricerca e lo sviluppo in questo specifico settore della produzione e, più in generale, dell’ICT. Cercheremo di analizzare la seconda parte dell’equazione, quella generalmente più problematica perché relativa alle aspettative dell’utenza e dunque alle dimensioni del consumo, nel capitolo intitolato “Estetica dell’iPhone”».
Detto per inciso, gli aspetti di carattere “estetico” del prodotto hanno finito poi per coinvolgere anche ambiti normalmente immuni al tema! In una delle tante cause legali tra giganti dell’hi-tech istituita da Apple per difendere l’originalità del suo prodotto iPAD rispetto a un nuovo modello di tablet della rivale Samsung – un’emanazione collaterale di un altro grande scontro relativo all’accusa di plagio dei rispettivi smartphone, appena giunto a sentenza – vi è stato un epilogo veramente originale.
Per questo caso, qualcuno ha parlato di una vittoria di Pirro della Samsung – scampare la condanna per non avere un prodotto alla “moda” potrebbe giustificare la conclusione – ma la vera notizia è un’altra: «il Samsung Galaxy Tab non può essere confuso con l’iPad perché “non altrettanto cool”. Con questa curiosa motivazione lunedì un giudice inglese, Colin Birs, ha dato torto ad Apple in una delle numerosissime cause per violazione della proprietà intellettuale che la vede ormai da tre anni di fronte al colosso coreano. Per la prima volta però per definire il design di prodotto si tira in ballo una categoria (la coolness ndr) non propriamente tecnologica, o quantomeno oggettiva. “I tablet Galaxy – hanno spiegato in tribunale – non possiedono l’estrema e raffinata semplicità tipica dei prodotti con design Apple”» (Il Samsung Galaxy «non è cool come l’iPad». Una sentenza in inghilterra dà torto ad Apple 2012).
Dunque, arriva un momento in cui si sviluppa una potente saldatura tra aspettative delle persone e produzione dell’industry, ma individuarne gli ingredienti così come cavalcarne con successo le dinamiche non è mai cosa semplice. Tuttavia, di alcune cose siamo ormai consapevoli. Come ci ricorda il sociologo Barry Wellmman, teorico del “networked individualism”, «il design crea l’affordance, le possibili azioni che una persona può effettuare su un oggetto, che, a sua volta, influisce su come le persone lo adoperano» (2012). Al centro della prepotente avanzata dell’individualismo di rete vi è stato un grande lavoro di ibridazione tra persone/utenti di personal computer, interconnettività di rete flessibile e capillare e software funzionali attivabili da click o tocchi di icone e bottoni ben stilizzati graficamente, un insieme che ha saputo catalizzare e cortocircuitare consumo e sviluppo dei dispositivi ICT. Richiamando alcuni brevi passaggi dello scritto del 2007 proverò ad abbozzare un’interpretazione della sottostante filigrana.
Aspettative
«Nella fase aurorale di una tecnologia abbiamo veramente molto da imparare dalle reazioni dei primi utenti e della gente comune. Il titolo di un articolo in cui la giornalista Anna Lagerkvist si appresta a valutare l’acquisto di un iPhone da poco disponibile nei negozi inglesi è eloquente “iPhone: la testa dice ‘no’, il cuore dice ‘sì’” (2007). Ma è facile trovare osservazioni ancora più esplicite: “Apple ha un dono: produce cose belle. Il Mac, l’iPod e ora l’iPhone sono, prima di qualsiasi altra cosa, oggetti di design. All’interno, contengono più o meno gli stessi componenti di un qualunque altro dispositivo digitale. Ma l’iPhone è molto di più di un prodotto elettronico: è un’esperienza sensoriale (Guerra sin fin entre Apple y los hackers. El iPhone, la nueva gran tentacion 2007). La rivista americana “Time”, famosa per sintetizzare ed evidenziare i nuovi trend popolari, nel definire l’iPhone invenzione dell’anno 2007 ne esalta la “piacevolezza”, l’essere un insieme di piccoli “aspetti” che lo rendono “usabile” in un mondo di “gadget poco usabili”, un dispositivo che parla il “vostro linguaggio”. In un mondo di tecnologie “la superficie è davvero profonda”. Una delle ragioni della scelta è indicata nella sua “sensorialità tattile”: “Apple non ha inventato il touch-screen […] ma Apple sapeva cosa se ne poteva fare. I suoi ingegneri hanno usato il touch-screen per innovare la precedente interfaccia grafica dell’utente (Graphic User Interface) – di cui la stessa azienda fu pioniera negli anni ’80 – per creare un intero nuovo genere di interfaccia, un’interfaccia tattile che dà agli utenti l’illusione di manipolare fisicamente ed effettivamente i dati con le loro mani – sfogliando le copertine degli album musicali, cliccando sui link, allargando e rimpicciolendo le fotografie con le proprie dita. Ciò, come afferma un ingegnere, non è banale. Fa parte di un nuovo modo di relazionarsi ai computer […]. Toccare è il nuovo modo di vedere (Invention Of the Year: The iPhone 2007). Tuttavia, a noi sembra che l’appeal dell’iPhone, che nasce soprattutto dal particolare modo di interfacciare il mondo dei dati, una modalità che va diffondendosi rapidamente su altri dispositivi similari, sia da considerare nei termini del rapporto persona-media/tecnologie-società, e che la chiave estetica sia veramente interessante per catturarne le dinamiche. In realtà, come spesso giustamente si riafferma, “dobbiamo ancora riproporre la circolarità del rapporto tra mezzi e soggettività/società: la tecnologia rende possibili mutazioni di soggettività e società, perché questi hanno reso possibile quella della tecnologia, il suo uso. La sua funzione” (Tursi 2007, p. 84). E in questo preciso momento storico è la reticolarità della società contemporanea “ciò che marca il nostro corpo, che disegna la nostra forma di vita. Si tratta di vedere in che modo riusciamo a esprimerla, in che modo riusciamo a esprimerci, in che modo riusciamo a sentire noi stessi nella nostra network society» (ibid., p. 16)».
Cinque anni dopo, leggendo alcuni articoli e post che festeggiano l’iPhone, su questi aspetti ho registrato una crescente consapevolezza. In particolare, una riflessione prova proprio a interrogarsi sulla circolarità tra mezzi e soggettività: «così, quando tocchiamo quel telefono, non tocchiamo solo un dispositivo e il suo schermo, lo rendiamo parte di noi stessi. Internet non è uno spazio strano, freddo, poco accomodante e caotico. Quel tocco è ciò che trasforma un oggetto inanimato da plastica e metallo a un’estensione di noi stessi. (Ecco il motivo per cui Apple ha lavorato così tanto sull’interfaccia touch). La tattilità è ciò che invita le persone a utilizzarlo ancora. E nel processo, esso trasforma la nostra relazione con la rete» (Sometimes a phone isn’t a phone. So what is it? 2012).
Produzione
«Lev Manovich (2007), noto studioso dei nuovi linguaggi dei media, si è occupato ultimamente proprio dell’estetica dei terminali cellulari inquadrandoli nel fenomeno di “estetizzazione degli strumenti d’informazione” iniziato a metà degli anni ’90.
Fino allora solo alcune persone adoperavano tali strumenti, e prevalentemente nel mondo del lavoro per cui vi era una netta separazione tra quest’ambito e le altre sfere di vita. Ora invece si sono diffusi largamente, ampliando anche il campo della comunicazione in senso multimediale e, all’interno della società dell’informazione, il confine dei loro utilizzi nei diversi ambiti esperieziali – lavoro, divertimento, cultura, vita sociale ecc. – è quasi svanito. Spesso si utilizzano le stesse macchine, le stesse interfacce hardware e software, e anche gli stessi applicativi, per coprire tutte le esigenze. Conseguentemente, cambia anche la loro estetica. “L’associazione con la cultura del lavoro e dell’ufficio e l’enfasi sull’efficienza e la funzionalità sono sostituiti da nuovi criteri e riferimenti. Includono l’essere socievole, giocoso, divertito, espressivo, alla moda e hanno a che fare con l’identità culturale, la piacevolezza estetica e la soddisfazione emozionale. Conseguentemente, la formula del design modernista ‘la forma segue la funzione’ viene ad essere sostituita da nuove formule quali ‘la forma segue l’emozione’” (ibid.).
Questo processo è in continua evoluzione. All’inizio di questa ultima decade le interfacce utente seguivano la regola dell’invisibilità, il loro successo era legato al fatto che si rendessero invisibili alla persona per dare una qualche omogeneità a pratiche e nature vissute come separate. Tuttavia, l’incremento della sfera informazionale e la sua continuità e intimità con tutte le nostre pratiche di vita ha posto l’interfaccia stessa al centro delle nostre azioni. Al di là del grado di consapevolezza, afferma Manovich, oggi il “design della user interaction riflette questa realtà… I designer non provano più a nascondere le interfacce. Invece, l’interazione è trattata come un evento – al contrario del ‘non-evento’ del precedente paradigma della ‘interfaccia invisibile’. Detto in altri termini, l’uso dei dispositivi di informazione personali è ora concepito come un’esperienza attentamente orchestrata piuttosto che solo un mezzo per dei fini. L’interazione richiede esplicitamente dell’attenzione per sé. L’interfaccia impegna l’utente in una sorta di gioco. All’utente è richiesto di riservare delle risorse emozionali, percettive e cognitive per lo stesso atto operativo sul dispositivo (ibid.)”.
Manovich indica come esempio proprio il lavoro svolto dalla Apple nel campo delle interfacce software, con il passaggio sempre più spinto verso l’elaborazione di estetiche che fanno appello e stimolano esplicitamente i sensi, piuttosto che i soli processi cognitivi (modelli di sistemi operativi OS 9, OS X). Con l’iPhone, possiamo notare, è l’intero telefono a essere divenuto un’interfaccia. Al contempo, anche Manovich richiama il concetto di teatralizzazione e di interazione come esperienza descritto dalla Laurel, ed estende il senso dell’estetizzazione dei prodotti informatici inquadrandolo nella più ampia tendenza di una ‘economia dell’esperienza’. “Come altre forme di interazione, quella con i dispositivi informatici diviene un’esperienza estetizzata. In effetti, si può dire che ci sono stati tre stadi nello sviluppo delle interfacce dei computer – le linee testo di comandi, le classiche GUI degli anni ’70-’90 e le più sensuali e divertenti interfacce dell’era post OS X possono essere correlate a tre stadi dell’economia consumistica: quelli delle merci, dei servizi e delle esperienze. Le interfacce a comandi di linea ‘forniscono le merci’, vale a dire sono focalizzate sull’utilità e la funzionalità pure. Le interfacce GUI aggiungono alle interfacce i ‘servizi’. Ora le interfacce diventano ‘esperienze’ … (ibid.)».
Bibliografia
Boccia Artieri, G., 2012, Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) Network Society, Milano, Angeli
Diodato, R., Somaini, E., 2011, (a cura di), Estetica dei media e della comunicazione, Bologna, Il Mulino
“Il Samsung Galaxy ‘non è cool come l’iPad’. Una sentenza in inghilterra dà torto ad Apple“, Il Sole 24 ore, 10/7/2012
Petullà, L., 2008, Media e computer liquidi, Milano, Lampi di Stampa
“Sometimes a phone isn’t a phone. So what is it?”, Gigaom.com, 5/7/2012
Wellman, B., 2012, Networked. The New Social Operating System, Boston,The MIT Press