Teorie e pratiche di un concepimento
Il mondo tutto sta festeggiando i 10 anni del telefono che funziona tramite internet. Anche se la storia della telefonia e della videotelefonia sulla Rete non coincide certo con quella di Skype, è innegabile che nella pratica del consumo sia Skype il sinonimo di chat video/telefonica per la maggior parte delle persone al mondo – fatto facilmente riconosciuto anche da chi è emigrato su altre piattaforme.
In realtà, il concepimento vero così come il lancio di software similari ma meno “fortunati” lo precedono di molti anni, quasi una decade, ed è parte di un sommovimento molto profondo e ampio che produrrà tutte le conseguenze che stiamo esperendo per l’intera filiera delle vecchie e nuove tele-comunicazioni. Da questo punto di vista è molto giusto ricordare con tanta enfasi l’avvento del telefono internettiano.
Tra le iniziative che vogliono evidenziare l’avvenimento, mi piace segnalare quella del giornale inglese The Guardian che ha aperto sulla sua pagina di giornale online e su twitter (#skypestories) dei canali per ricevere sintetici feedback sul valore o l’uso di questo medium per le persone. Il flusso dei commenti e la varietà di storie, attività, usi, nazionalità degli utenti, così come critiche alle limitazioni, distorsioni o sfruttamenti delle sue originali potenzialità, ovvero i plausi alla sua tecnologia, si rivelano come un orizzonte vivo e pulsante per misurare le distanze ma anche le articolazioni dei progetti tecnologici nel continuo evolvere delle condizioni rispetto a quanto, sull’onda di eguali energie, ci si prefiggeva di ottenere.
Come testimoni e commentatori ante-litteram del fenomeno negli anni 2000, abbiamo ricostruito le complesse questioni che ne preparavano il campo, così come le spinte, le opposizioni, le paure o le speranze dei soggetti e delle aziende che vi hanno investito energie e mezzi. Anche allora accadeva di organizzarsi tramite chat (testuali) per scambiarsi pareri, intervenire e supportare i progetti, ma i circoli degli “iniziati” erano molto più ristretti e meno attrezzati. La facilità di utilizzare e organizzare confronti fornita oggi da i nostri strumenti comunicativi online e la loro normale “contralità” segna uno spartiacque netto con quella epoca mentre queste iniziative evidenziano, tra l’altro, una consapevolezza più diffusa sugli effetti e i ritorni delle tecnologie sulla vita delle persone così come sui campi di azione e intervento a cui danno forza.
Per dire, troviamo ora del tutto normale imbatterci nella performance creata dall’attore e regista Mark Malkoff. Utilizzando Facebook e Twitter per localizzare persone disposte a partecipare con lui in una video chat, con l’iniziativa “Skype around the World” ha coinvolto nell’impresa ben 162 paesi, inclusa la Nord Corea. Ovviamente, il collage della performance è stato poi postato su youtube!
Ad ogni modo, la potenza delle strumentazioni e degli ambienti online non ci esimono da un genere di lavoro molto più “tradizionale” se si vuole leggere la realtà nella sua interezza e agirvi con efficacia. Alla facilità di raccogliere e dare espressione viva a questi intrecci si affianca sempre l’esigenza/difficoltà di poter mantenere traccia della mole e dei prodotti dei materiali “discorsivi”, così come del bisogno e dell’importanza di un lavoro interpretativo/ricostruttivo sui suoi molteplici aspetti. Vale a dire, di qualcuno che ci aiuti a “non dare per scontato” come si sviluppano la “storia e le idee teoriche che stanno dietro”. Sulla fondatezza di queste esigenze si è soffermato ultimamente, con la solita sagacia, lo studioso dei media Lev Manovich.
«Conosciamo i nomi degli artisti rinascimentali che diffusero l’utilizzo della prospettiva lineare nell’arte occidentale […] o i creatori del linguaggio cinematografico. […] Ma scommetto che nessuno sa come sono nati Photoshop, o Word, o gli altri strumenti mediali che usiamo ogni giorno. Probabilmente non si conosce nemmeno – ed è ancora più critico – il motivo per cui questi strumenti sono stati creati in un luogo specifico, né come e perché i primi calcolatori […] si sono evoluti nelle nostre maneggevoli macchine mediali personali. Dunque, qual è la storia delle idee che stanno alla base del software culturale? Quali erano il pensiero e le motivazioni dei personaggi chiave e dei gruppi di ricerca? […] queste teorie trovano oggi un’applicazione pratica molto elevata: ci aiutano a capire meglio i software culturali contemporanei che utilizziamo per creare, leggere, guardare, remixare e condividere contenuti [… ecco perché] questa indagine è di grande importanza per l’epoca che stiamo vivendo» (2010).
Riferimenti
Manovich, L., 2010, Software culture, Milano, Edizione Olivares.
Petullà, L., 2011, Metamedium, net economy e software culture, Napoli, Liguori.