Gli ultimi mesi del 2022 hanno visto un cambio di registro nelle azioni dimostrative che, condotte soprattutto dalle generazioni giovanili, vogliono combattere la sostanziale indifferenza delle politiche dei governi nazionali rispetto al crescente degrado dell’ambiente in cui tutti gli esseri (umani e non) si trovano a vivere.
Dopo anni di dibattiti sull’insostenibilità dei modelli di sviluppo economici e sociali affermatesi nel mondo a livello pressoché globale, grazie agli effetti perversi provocati dai cambiamenti climatici siamo arrivati a verificare con crescente inquietudine – giorno per giorno – il colpevole peso di una tale indifferenza.
In effetti, i danni che stiamo procurando alla biosfera, ovvero il complesso ecosistema nel quale viviamo – che rappresenta il luogo singolare da noi più conosciuto nell’Universo, dove è nata e si è sviluppata la vita – ci denota davvero come una specie molesta e arrogante, capace di dimenticare la singolarità delle sue condizioni di vita nonostante, come afferma l’astrofisica Elisa Vaudo, quell’Universo in cui siamo miracolosamente incastonati al momento ci è del tutto ignoto (corriere.it, 2022).
D’altronde, sullo scarso apprezzamento della nostra collocazione nel più ampio contesto naturale e sulla tendenza a considerare noiosa la nostra esistenza mondana, il filosofo dei media John Durham Peters già ci ricordava come «di miliardi di sistemi solari, noi conosciamo solamente uno in grado di supportare la vita. Un’orbita leggermente più vicina al sole, un’oscillazione degli assi terrestri di pochi gradi, o una cometa errante, tutto avrebbe potuto rendere la vita sulla Terra impossibile. In cinque miliardi di anni di esistenza della Terra, gli umanoidi sono esistiti per un millesimo del tempo. E la durata della civilizzazione per come la conosciamo (con la sua scrittura, guerra e patriarcato) corrisponde a un ulteriore millesimo di questo periodo di tempo. Noi siamo, come sostenevano tutti i romantici, la grande eccezione nell’universo, il caso raro, il completamento della natura, il modo in cui l’universo arriva all’autocoscienza» (1999, p. 394).
Il richiamo delle gesta originali
Dunque, davanti all’evidenze dei cambiamenti climatici – che potrebbero essere solo un antipasto visto che tutte le forme di esistenza, organiche e inorganiche, vivono incestate l’un con l’altra, e con un cambio delle condizioni ambientali vi è il rischio concreto di un riadattamento generale che risulti per gli esseri umani ancora più fatalmente indigesto – le giovani generazioni, dopo anni di marce (Fridays for future) e raccolta firme, provano con gesti più originali a far riguadagnare visibilità alle tesi sulla necessità di azioni urgenti capaci di minimizzare – se non invertire – l’attuale corso degli eventi.
Per reinserirsi nelle agende dei media si decide così di imbrattare nei musei i quadri più famosi – in verità, non irrimediabilmente –, di sdraiare i propri corpi sulle corsie delle vie del grande traffico urbano ed extra-urbano – l’invito è di bloccare il consumo di idrocarburi fossili deleteri per la lotta climatica – o di gettare vernici colorate sulle mura dei palazzi simbolo della politica – per chiedere segnali immediati come l’arresto dei nuovi progetti di trivellazione di suoli per cercare gas e petrolio, o investimenti più decisi per incrementare energia solare ed eolica, azione che nel frattempo crea alternative per nuovi posti di lavoro nell’ambito dell’energia rinnovabile (Fanpage.it, 2023).
Il ruolo dei media nel dibattio ambientale
Di fronte a una tematica così complessa come quella ambientale, l’esigenza e l’ideazione di nuove forme di proteste a fine comunicativo ci fanno intravedere il contesto di difficoltà in cui queste azioni propagandistiche si pongono e richiamano alcune questioni più generali quali il rapporto tra media e pubblica opinione, oppure i limiti o il potere dei media di influenzare le convinzioni delle persone.
Le richieste di attenzione e i dibattiti sui temi ambientali partono ormai dagli anni Sessanta del XX secolo per giungere fino ai nostri giorni ed hanno avuto un andamento di alti e bassi in termini di presa sull’opinione pubblica (Hansen, 2019). Il ruolo dei media e della comunicazione nel dibattito sui problemi ambientali è ovviamente centrale visto che – in un’ottica di costruzione sociale della nostra realtà e dato che l’ecologia non parla per sé – è nel loro ambito discorsivo che le questioni vengono a noi rappresentate e veicolate con più o meno oggettività e tendenziosità, essendo poi propagate nelle varie arene pubbliche con particolari ambientazioni, cornici, idiomi retorici, motivi o stili rivendicativi.
L’esigenza di controbattere gli interessi particolaristici
In questa ottica, è il caso di dire che vi è poco di naturale sulla formazione delle “notizie” ambientali visto che, essendo attivamente costruite, in esse si riverberano strategie e influenze da parte dei vari portatori di interessi collegati alle controversie: gruppi di pressione ambientale, dipartimenti governativi, istituzioni scientifiche, singoli scienziati/esperti, imprese e industrie – tutti cercano di gestire e influenzare strategicamente la comunicazione pubblica sull’ambiente, sia per tornaconti economici o ideologici che per fare pressione sui processi decisionali politici.
Gli operatori dei media, e i giornalisti in particolare, si trovano in un crocevia relazionale e ideale tanto delicato quanto problematico dovendo assicurare credibilità al loro lavoro applicando criteri giornalistici obiettivi ed equilibrati che sappiano mediare tra il contesto polemico e interessato e l’incertezza e complessità scientifica caratterizzante spesso la gran parte del dibattito ambientale.
Tra l’altro le questioni ambientali così come la natura sono trattate ideologicamente, a livello di cultura popolare, anche in altri generi di media come l’intrattenimento televisivo e cinematografico, più in particolare, nei programmi televisivi e nei documentari dedicati alla fauna selvatica e agli ambienti naturali, sul filo di narrazioni che giocano sui cambiamenti nel comprendere l’ambiente come oggetto di controllo e sfruttamento o come qualcosa da proteggere.
Ci appare dunque chiaro come in società dominate dall’uso estensivo e ora anche ubiquo dei media da parte delle persone è fondamentale riuscire a inserirsi nel flusso delle news con rilevanza, battendo in qualche modo la concorrenza degli altri fatti notiziabili, rendendosi attrattivi per novità/clamore e dunque più selezionabili da parte delle varie emittenti editoriali che hanno interesse a catturare l’attenzione dei pubblici.
Potere e limite della comunicazione mediatica
Le teorie nella comunicazione dell’agenda setting, e anche dell’agenda building – centrate sul potere dei media di promuovere i temi su cui le persone possono argomentare, farsi opinioni e credenze, e quindi alimentare comportamenti che possano anche creare pressioni sulle istituzioni pubbliche – illustrano tali dinamiche, ed anche i loro limiti contestuali (Bentivegna, Boccia Artieri, 2019).
Le stesse teorie avvertono infatti come il pubblico dei riceventi goda di amplia libertà interpretativa mediando l’importanza delle notizie in base alla loro conoscenza ed esperienza, così come ai propri interessi personali. Le persone, ad esempio, hanno una propria agenda soggettiva tematica che è influenzata a più livelli: intrapersonale rispetto alle proprie scale di priorità, interpersonale sulla base degli argomenti di cui si discute con amici e familiari, collettiva in quanto legata alla percezione del clima d’opinione più generale .
I lasciti dell’Età del progresso
Ma la comunicazione, per quanto importante, si inserisce comunque in un contesto in cui conta come le comunità si sono organizzate materialmente – lavoro, spostamenti, sostentamento. Le persone sono ancora, per la maggior parte, incardinate in sistemi di vita poco sostenibili in termini ecologici. Tali sistemi hanno inevitabilmente plasmato nel profondo comportamenti e convenienze supportati da ideologie tendenti a esaltare acriticamente le vie del progresso quasi infinito, predisponendoci a un orientamento temporale e spaziale che ha prediletto il fare efficiente proiettato a ottimizzare l’espropriazione, il consumo e lo scarto delle risorse naturali.
L’accrescimento dell’opulenza materiale delle società a ritmi sempre maggiori è avvenuta così a spese del depauperamento della natura stessa. «Il nostro personale orientamento temporale e il battito del tempo della nostra società si incentrano sull’imperativo dell’efficienza. È ciò che ci ha portato alle vette più imponenti come specie dominante sulla Terra e ora alla rovina del mondo naturale» (Rifkin, 2022).
L’habitus antiecologico
Come afferma convincentemente l’economista Jeremy Rifkin, in questi ultimi 200 anni siamo cresciuti imbevuti di teorie – economiche, filosofiche, fisiche – che non hanno saputo spiegare come e quanto l’essere umano respiri e sia in continuità e circolarità con le stesse sostanze e forze di cui sono costituite e a cui rispondono anche tutte le altre componenti della biosfera.
La cosiddetta età del progresso non ha favorito, per la sua natura antiecologica, per dirla con il sociologo Pierre Bourdieu, il giusto habitus – una disposizione coltivata che diviene una guida pratica che permette a ogni agente di generare, a partire da un piccolo numero di principi impliciti, comportamenti in linea (nel nostro caso) con il rispetto delle leggi ecologiche da cui dipendiamo.
In effetti, avremmo considerato il nostro agire altrimenti – appunto, con un habitus ecologico – se fossimo cresciuti in culture più rispettose della natura in quanto «niente sembra più ineffabile, più incomunicabile, più insostituibile, più inimitabile, e quindi più prezioso, dei valori incorporati, fatti corpo, dalla transustanziazione operata dalla persuasione clandestina di una pedagogia implicita, capace di inculcare tutta una cosmologia, un’etica, una metafisica, una politica, attraverso delle ingiunzioni tanto insignificanti quanto “stai dritto” o “non tenere il coltello con la sinistra”»(Bourdieu, 1972, p. 245).
Lentius, profundius, suavius, (più lento, più profondo, più dolce)
In attesa che l’habitus ecologico si estenda e in un quadro così intricato Enzo Scandurra – docente universitario di Sviluppo Sostenibile per l’Ambiente e il Territorio – avverte che «non esiste il colpo di manovella che possa aprire la via verso la conversione ecologica dell’economia, i passi dovranno essere molti, il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente. La domanda decisiva è: come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? “Lentius, profundius, suavius” (più lento, più profondo, più dolce) è la formula di Langer, contrapposta a quella “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte)» (Scandurra, Agostini, Attili, 2020).
Il suo è un richiamo alle tesi di Alexander Langer – tra le altre cose, politico (fondatore dei verdi Italia e Europa), pacifista e ambientalista – che già a metà degli anni Novanta del XX secolo si trovava a dover fare i conti con i risultati deludenti di decenni di battaglie ecologiste. Per questo proponeva di andare contro la cultura alimentata dalle ideologie efficentiste puntando su fattori più seduttivi per convincere le persone ad aderire ad una svolta ambientale. Le sue parole riecheggiano le difficoltà in cui tuttora ci dibattiamo.
La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta. La paura della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e controlli; e la stessa analisi scientifica non ha avuto capacità persuasiva sufficiente.
A quanto risulta, sinora il desiderio di un’alternativa globale – sociale, ecologica, culturale – non è stato sufficiente, o le visioni prospettate non sufficientemente convincenti. Non si può certo dire che ci sia oggi una maggioranza di persone disposta ad impegnarsi per una concezione di benessere così sensibilmente diversa come sarebbe necessario.
Nè singoli provvedimenti, nè un migliore “ministero dell’ambiente” né una valutazione di impatto ambientale più accurata né norme più severe sugli imballaggi o sui limiti di velocità – per quanto necessarie e sacrosante siano – potranno davvero causare la correzione di rotta, ma solo una decisa rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società o in una comunità si consideri desiderabile.
Sinora si è agiti all’insegna del motto olimpico “citius, altius, fortius” (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana ed onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in “lentius, profundius, suavius” (più lento, più profondo, più dolce”), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso (Langer, 1994).
Superare i nostri limiti verso gli iperoggetti
Vista la storia non proprio esaltante del dibattito e dei tentativi di porre la questione ecologica tra i problemi più urgenti da trattare, non stupiscono le prese di posizioni più radicali che non credono proprio a un approccio mediatico alla questione.
Il punto è che la materia ecologica non ha possibilità di essere spiegata essendo un “iperoggetto” «dovremmo farla finita con il business della persuasione e inaugurare il business della magia, della catalisi, del magnetismo. Non è sbagliato usare le armi della ragione; ma con oggetti così grandi, distribuiti in maniera così estesa, così controintuitivi e multidimensionali, non si può usare l’arte come fosse una glassa per rivestire i fatti. Non possiamo più praticare il business delle public relations» (Morton, 2013).
La comunicazione attorno alla questione ambientale si impantana inevitabilmente in una «discarica di dati» che ha il difetto di avvilire e paralizzare le persone «le cose ecologiche sono molto complesse, implicano un sacco di parti in movimento, sono ampiamente distribuite su tutta la Terra e nel tempo, e così via. Perciò dare un’occhiata sotto i dati delle cose ecologiche è ovviamente impossibile: appena proviamo a farlo andiamo in confusione» (Morton, 2018).
La proposta, ancora una volta – per sfuggire alla nostra «estinzione di massa» – è di abbandonare il pensiero antropocentrico e aprirci alle altre forme di vita, di abbracciare le filosofie che ci invitano ad approfondire il nostro stare nel mondo, di lasciarci andare per accorgerci e avere consapevolezza che le nostre vite agiscono e sono retroagite in una fitta rete di collegamenti e interconnessioni con forze, organismi e sostanze presenti dentro e fuori del nostro corpo – in definitiva, non dobbiamo sforzarci di diventare persone ecologiche ma solo accettare che già siamo (indiscutibilmente) degli «esseri ecologici».
Riferimenti
“Chi sono e cosa vogliono gli attivisti di Ultima Generazione: «Mettiamo in conto il carcere»”, Fanpage.it, 4/1/2023.
“Il 95% dell’universo ci è ignoto: vi spiego lo sconosciuto a cui serve lasciarsi andare con piacere”, corriere.it, 28/12/2022.
Bentivegna, S., Boccia Artieri, G., 2019, Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale, Bari, Laterza.
Bourdieu, P., 1972, Esquisse d’une théorie de la pratique précédé de Trois études d’ethnologie kabyle, Paris, Editions du Seuil; trad. it. Per una teoria della pratica con Tre studi di etnologia cabila, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003.
Hansen, A., 2019, Environment, Media and Communication , New York, Routledge.
Langer, A., 1994, Colloqui di Dobbiaco.
Morton, T., 2013, Hyperobjects. Philosophy and Ecology after the End of the World, Minneapolis, University of Minnesota Press; trad. it. Iperoggetti. Filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo, Roma, Nero, 2018.
Morton, T., 2018, Being Ecological, London, Penguin Random House; trad. it. Noi, esseri ecologici, Bari, Laterza, 2020.
Peters, J. D., 1999, Speaking into the air. A History of the Idea of Communication, Chicago, The university of Chicago press; trad. it. Parlare al vento. Storia dell’idea di comunicazione, Roma, Meltemi, 2005.
Rifkin, J., 2022, L’ età della resilienza. Ripensare l’esistenza su una terra che si rinaturalizza, Milano, Mondadori.
Scandurra, E., Agostini, I., Attili, G., 2020, Biosfera, l’ambiente che abitiamo, Roma, DeriveApprodi.