Dal retroterra culturale Usa – soprattutto del periodico «Wired» dedicato alle nuove tecnologie –, all’attuale panoramica della gamma dei vari prodotti italiani
Avventurarsi nella pubblicistica dedicata a Internet, e in genere a tutte quelle tecnologie di informazione e di comunicazione che hanno dato vita negli anni Novanta al fenomeno della “Net economy”, non è affatto agevole. Non abbiamo remore ad inserirci tra coloro che spesso provano un senso di disorientamento.
Eppure, il giornalismo “high tech” sta entrando velocemente e stabilmente nelle pieghe delle nostre fonti informative, grazie soprattutto al fenomeno che ha reso tale settore così intrinsecamente popolare. L’insieme di pratiche e spazi di informazione/conoscenza che chiamiamo Internet ha, infatti, nella strumentazione informatica e telecomunicativa la sua struttura portante, e questa, oltre a sorreggerne l’universo, ne plasma inevitabilmente le possibilità espressive, con un grado di “libertà” mai precedentemente conosciuto in un sistema di comunicazione così tecnologicamente esteso.
Lo spirito del “bricoleur”
L’aggiornamento tecnologico, allora, non viene a porsi solo come una comprensione delle modalità con cui è possibile costruire le configurazioni ma, nel caso si decida di approfondirne la conoscenza, può permettere di inventarne di nuove. La Rete è piena di tecnologie create o perfezionate al suo interno da utenti capaci; prevalentemente, è con esse che funziona.
La personalizzazione della tecnologia informatica e di comunicazione ci sta dunque proiettando nello status di perenni hobbisti dell’Ict (Information & Communication Technology) e, in quanto tali, richiede la curiosità e laboriosità tipica dei veri “bricoleur”. Metaforicamente questo mondo può essere paragonato ad un “patchwork” (le opere elaborate mettendo insieme materiali diversi e di forma variegata per ottenere, infine, dei prodotti che dimostrano una propria omogeneità) che ricorda il continuo e frenetico lavorio che, nel segno dei linguaggi e dei dispositivi informatici digitali, sta scombussolando l’industria elettronica e di telecomunicazione.
L’omogeneità, in questo caso, è riscontrabile nello sforzo di rendere compatibili e predisposti alla comunicazione i variegati dispositivi di registrazione, elaborazione o presentazione di “informazioni”, unificandone i formati testuali ed audiovisivi. Il “patchwork” digitale, con il suo dinamismo psichedelico e i suoi prodotti, adatta e miscela esperienze e materiali “lontani” per metterli in “comunicazione”, insinuandosi capillarmente nelle nostre mille attività.
Abbracciare il ciberspazio
Le riviste “high tech” del ciberspazio si possono collocare in questo contesto, ed il loro impegno è di seguirne le evoluzioni, nello sforzo generoso di abbracciare uno spettro di eventi che va dalla codificazione e manipolazione dei linguaggi della vita biologica al lancio dell’ultimo film prodotto con tecnica digitale (e che traspone casomai una storia nata per un “video-game”), passando per tutte le problematiche che ne agevolano o intralciano il cammino. Insomma, uno scoppiettio di argomenti ben rappresentato dalle loro accese copertine, messe in mostra nella variopinta vetrina dell’edicolante, e dall’organizzazione dei loro palinsesti.
Pur volendo circoscrivere il nostro intervento alle riviste italiane edite su carta e che si dedicano prevalentemente al fenomeno Internet, non possiamo non accennare alla rivista che ha segnato una svolta e un modello nel settore pubblicistico “high-tech” mondiale, e cioè al “magazine” americano «Wired». «Wired Magazine» – diretta da Louis Rossetto – nacque nel 1993 e divenne l’indiscusso paladino mondiale della rivoluzione digitale, che ebbe (ed ha tuttora) il suo centro propulsivo nella Silicon Valley californiana.
Tale rivista ha saputo introdurre grosse novità in questo settore editoriale, spesso schiacciato dall’eccessivo tecnicismo che ne limita la popolarità a ristrette cerchie di specifici appassionati.
Informazione ed ibridazione uomo-macchina
Il successo della rivista americana è, in un certo qual modo, uno spartiacque che segnala l’avanzante esigenza di arricchire la normale informazione giornalistica con le tematiche tecnologiche. Sul modo in cui «Wired» – ereditando l’ideologia californiana delle nuove e libere frontiere del ciberspazio – ha trattato il fenomeno si è scritto di tutto, spesso con toni altamente critici, data la superficialità della sua visione ottimistica e gli intrecci evidenti con la forte industria Ict americana.
Tuttavia, questo non riesce a cancellare il valore di novità che «Wired Magazine» ha saputo introdurre in questo settore editoriale. Essa ha rappresentato un progetto per interpretare dei fenomeni che approdavano finalmente a maturazione – spinti dalla definitiva liquidazione della Guerra Fredda e dagli specifici piani di sviluppo che l’amministrazione americana degli anni clintoniani ha esercitato sui piani d’informatizzazione e interconnessione (vedi le Autostrade informatiche) – schierandosi in maniera radicale per l’edificazione e la gestione “alternativa”, in termini di regole, di questi nuovi spazi cibernetici.
La sua radicalità ha spesso scansato il pensiero critico ma gli ha permesso, cosa non semplice in un settore così dispersivo e pronto ad inseguire l’ultima novità del “marketing”, di offrire ai lettori una chiave di lettura nuova ed immediata che consentiva di districarsi nel turbinio degli eventi. Nell’azione ha coagulato attorno a sé una folta schiera di intellettuali brillanti, nonché “militanti” del mondo digitale e fantascientifico, ergendo a proprio riferimento nientedimeno che il fondatore degli studi mediologici, Marshall McLuhan, visto l’interesse che lo studioso canadese aveva nei riguardi dei sistemi mediali in quanto estensori dei sensi e delle attività espressive e cognitive dell’uomo.
Il nome della testata, fa notare il saggista Antonio Caronia in un “excursus” terminologico, è già il suo programma. “Wired” nella lingua americana ha molteplici significati: richiama la condizione del “cyborg”, e cioè dell’essere umano continuamente interfacciato ad una macchina, una condizione che stabilisce una relazione più intima tra cervello e ambiente. Ma il termine si riferisce anche al collegamento continuo dell’uomo (fisso o mobile) con le reti telematiche, un richiamo che ripropone dunque la condivisione di intelligenza fra mondi interni ed esterni. La stessa parola ha nell’uso “slang” un ulteriore e importante significato: indica un essere nervoso, sovraeccitato, preoccupato oppure intossicato da droga o alcol.
Sono gli stati che sottolineano, nell’avvento di una generazione digitale non più emarginata ma modello di sviluppo sociale, l’attesa febbrile di nuove condizioni di vita, così come la problematicità di un percorso che vuole ridefinire, guidato dalla passione tecnologica, i confini dei contatti e delle relazioni sociali fino ai livelli più intimi.
Riflessione, tecnicismo e modelli misti
Prima di addentrarci nell’intricato mondo delle riviste “hi-tech” italiane, conviene abbozzare una specie di catalogazione tipologica delle riviste per poterle inquadrare nell’approccio argomentativo rispetto a due impostazioni “ideali”: da una parte le pubblicazioni che preferiscono trattare i fenomeni digitali con argomenti di esclusiva riflessione (filosofica, sociologica.…); dall’altra quelle in cui prevalgono aspetti tematici con un’angolazione più tecnica e che interagiscono in maniera puntuale con gli eventi in corso.
Proprio l’approccio sociologico e filosofico verso la realtà virtuale è stato sviluppato tempestivamente, motivo per cui vale la pena ricordarla, dalla rivista «Virtual» (direttrice Stefania Garassini), una pubblicazione mensile nata già nel 1993 ma che purtroppo ha pubblicato solo fino al 1998 . In verità le riviste di tale tipologia hanno – ed a maggior ragione avevano (Internet ha assunto solo da poco una certa rilevanza popolare) – dei problemi a seguire un territorio così dinamico; spesso si trovano a soffrire l’eccessiva distanza che si crea tra le analisi di realtà applicative ancora vaghe e indefinite e la loro effettiva affermazione negli usi quotidiani.
Lasciando il polo più riflessivo, aumentano le possibilità di trovare riviste che privilegiano un assetto editoriale “misto”. Questi periodici, in altri termini, sono generalmente presenti con un loro portale telematico in Rete, dove vengono riportati i sommari degli articoli e qualche assaggio tematico, mentre gli approfondimenti completi e il materiale allegato (cd/dvd) sono disponibili solo con l’acquisto della pubblicazione cartacea. In generale queste pubblicazioni entrano in maniera più specifica negli aspetti tecnologici (descrizioni, prove, spiegazioni, comparazioni, ecc.), pur non trascurando di volta in volta di accompagnarli con approfondimenti di altra natura (giuridici, sociali, culturali, economici, educativi, ecc.).
Non volendo mettere in dubbio il valore del canale cartaceo ed i limiti della distribuzione di software tramite le “lente” connessioni di Rete, si ha, comunque, il forte sospetto che si adoperi tale strategia perché è ancora difficile farsi remunerare per materiali distribuiti per via elettronica, nonostante sia questa la forma migliore per ospitare argomenti così dinamici e così altamente intrisi di “interattività”.
In questa situazione vi sono delle riviste che allargano al massimo l’opportunità di essere legate ad una distribuzione classica forte e che, conseguentemente, mantengono un profilo più generalista sui fenomeni della Rete, alla ricerca di curiosità e tendenze, ma attente ad introdurre con gradualità gli argomenti. Un esempio è la rivista mensile «Happy Web» della Rizzoli, diretta da Marco Mereghetti. In essa è evidente lo sforzo di stabilire una continuità d’interessi tra le normali attività della terraferma (lavoro, viaggi, studio, cinema, musica, utilizzo di apparati – quali telefonino, macchine fotografiche, etc.) e quelle del ciberspazio, condendole spesso con sfizi più “spettacolari”, come l’eterno fascino dell’eros (le copertine con la donnina più o meno provocante sono quasi sempre una costante…) o le visite ai musei in modalità virtuale.
Dentro la tecnologia
La pubblicistica più vicina al polo tecnologico si presenta come un vero e proprio universo. Ci limiteremo quindi a segnalare velocemente solo alcune fra le riviste più diffuse che si richiamano direttamente ad Internet o al Web.
Intanto le due riviste mensili della fucina di Massimo Sesti (edizioni Master): «Idea Web» e «Internet Magazine». «Idea Web» si pone come una sorta di sponda per utenti che, sentendosi inesperti, vanno progressivamente aprendosi alle attrazioni della tecnologia puntando molto sugli interessi tipici dell’hobby, coadiuvati dalla strumentazione informatica riposta nei cd allegati: masterizzazione di cd, grafica, programmi di uso vario (posta, navigazione, antivirus, “chat”, musica, aggiornamenti di software vari, ecc.). «Internet Magazine» è invece più adatta agli utenti tecnofili o aspiranti tali, quelli che vogliono entrare nel merito dei meccanismi e a cui ci si rivolge con una certa disinvoltura per spiegare più approfonditamente i “retroscena” della tecnologia.
Passando a «Internet News», mensile diretto da Marcello Oddini, incontriamo una rivista di lungo corso – nel senso che è nata proprio nel momento di prima espansione del fenomeno Internet (1995) – che, dall’alto della sua esperienza, miscela sapientemente argomenti di natura più generale, ad esempio la formazione tramite la rete (“e-learning”), problemi di politica e di accesso ai servizi, con approfondimenti tematici in appositi dossier (ad esempio, le tecnologie di rete per la diffusione della musica), prove di prodotti e specifiche spiegazioni di software.
Infine, proprio a dimostrazione dell’inesauribile volontà di seguire gli eventi del panorama digitale che, in determinati periodi, sembrano particolarmente caratterizzanti, chiudiamo parlando di un’altra “storica” rivista, «Inter.net», mensile diretto da Michele di Pisa. La rivista ha appena cambiato il nome in «Open Source» in quanto sta focalizzando il proprio orizzonte sul fenomeno dello sviluppo del software libero, cioè non coperto da “copyright” (vige in verità il “copyleft”, copiarlo e utilizzarlo gratuitamente, migliorandone se possibile i programmi, ma per rimetterli a disposizione degli altri).
Un fenomeno, quest’ultimo, che ha richiamato l’interesse degli antropologi per l’affinità del suo modello con la circolazione sociale dei doni. Per inciso, Linux (per capirci, l’alternativa a Windows), uno dei prodotti più famosi dell’“open source”, copre oramai il 30% del mercato dei sistemi operativi installati su computer aziendali!
La pubblicistica, anche oltre il “web-oriented”
Non vogliamo concludere rischiando di trascurare tutte quelle pubblicazioni che, per problemi di spazio e di “taglio giornalistico”, non abbiamo potuto citare, ma che sono altrettanto importanti nel loro lavoro di copertura informativa di aree tematiche che rappresentano “in nuce” il vero motore della continua opera di costruzione e arricchimento dell’universo delle tecnologie telematiche. Ci permettiamo allora di rimandare il lettore ad un’ulteriore ma necessaria sosta, in edicola o, per i più pigri, negli appositi forum Internet (un buon punto di partenza potrebbe essere il sito www.webriviste.com).
In questo ambito, invece, possiamo chiudere segnalando almeno la testata di altre riviste “hi-tech”, limitandoci a suddividerle in tre macro categorie, non senza prima aver premesso che, in diversi casi, e soprattutto nell’ultimo, si tratta di riviste “anche” – e non solo – “hi-tech”. Inoltre, l’elenco non può essere comunque completo e rappresenta solo una “traccia” per il lettore.
Informatica professionale: «PC Professionale», «io Programmo», «Linux Magazine», «Linux Journal», «Linux & C.», «Computer Programming», «Linux Pratico», «Linux Pro», «Dev», «Office Magazine», «PC Magazine».
Informatica di consumo: «Chip», «Computer Facile», «Computer Idea», «Computer Magazine», «Quale Computer», «Win Magazine», «Software World», «Digital Camera Magazine», «Fotografia Digitale Facile», «Hacker Journal», «Hackerattack», «Hacker&C.», «Il mio Computer», «Internet Facile», «Pagine Web Facile», «PC Home», «PC Open», «PC Pratico», «PC World», «PC Software», «PC Upgrade», «Windows Facile».
“Home entertainment”: «Ciak», «Jack», «DVD Magazine», «PC Fun Extreme», «DVD Review», «Giochi per il mio computer», «Home Cinema», «PC Action», «Play Nation», «Play Station 2», «PS Mania», «PSM», «Satellite», «The Games Machine», «Videogiochi», «XBM», «XBOX Magazine».
www.scriptamanent.net, anno II, N. 12, giugno 2004