Oltre Apple, Facebook e Twitter: contesti e sviluppi delle “altre” applicazioni da start-up
Nel nostro precedente post ci eravamo impegnati a ritornare sul rapporto curato dalla KPGP, con la regia di Mary Meeker, dedicato alle evoluzioni di business avvenute in internet nel 2015. Il motivo è che attraverso la sua lettura saremmo stati aiutati a entrare con maggiore dettaglio e ragione in quella fantasmagoria di attività che, muovendosi sulla e intorno alla rete, sempre più trovano le vie per coagularsi in proposte imprenditoriali durevoli che diventano poi infrastrutture per il nostro agire in molteplici ambiti di vita. Insomma, un modo per indirizzare l’attenzione oltre i soliti protagonisti quali i vari Facebook, Apple, Twitter, aziende che paiono saturare per i più gli orizzonti internettiani. Premettiamo che il rapporto, parlando di applicazioni e sistemi digitali, ha un indubbio outlook globale ma una base applicativa che è focalizzata, almeno inizialmente, sul mercato statunitense. Ma ciò non rappresenta un problema in quanto lo scopo è di fornire un esempio di esplorazione finalizzato ad aprire una finestra su alcuni degli sviluppi imprenditoriali che il mondo della rete sta rendendo possibili.
Il contesto digitale
Iniziamo delineando il contesto delle persone connesse in rete la cui importanza, da tempo, sembra essere vista sempre con un duplice obiettivo: a livello di mercato, per quantificare le persone abilitate a partecipare in qualche modo a queste nuove possibilità di interazione; a livello di audience, per misurarle in quanto pubblico a cui poter erogare della pubblicità, ancora oggi il combustibile di base per alimentare economicamente i servizi di rete più popolari o con maggiori difficoltà a esplorare efficacemente modi di remunerazione alternativi.
Il report ci dice che dal 1995 ad oggi si è riusciti a mettere in comunicazione tramite dispositivi elettronici i 2/3 dell’umanità. Se solo il 40% può permettersi una connessione dati fissa che supporti le funzionalità multimediali (voce, testo, video) dei terminali, oltre il 70% può usufruire di comunicazioni in movimento e always-on tramite il proprio dispositivo mobile. Tuttavia, anche in ambito mobile solo il 40% degli utenti, possedendo uno smartphone, pare avere anche una connessione dati utile a estendere le potenzialità comunicative a livello multimediale. Per inciso, da questi numeri non è semplice capire quante persone effettivamente riescono a usufruire costantemente di una comunicazione multimediale. Le reti di accesso mobili sono state fondamentali per aumentare il bacino di utenza soprattutto nelle regioni in via di sviluppo, che sono carenti di infrastrutture “pesanti” ma anche della disponibilità economica necessaria a garantire un abbonamento che consenta, oltre che a telefonare e messaggiare, anche di navigare. Per correttezza va altresì notato che anche tramite i cosiddetti feature phone, i telefonini più semplici, è possibile avere una sorta di accesso dati (i dati passano nel “formato” sms) in grado di alimentare varie applicazioni software quali, ad esempio, client email. Tuttavia, è chiaro che si tratta di utilizzi limitati nella loro espandibilità funzionale.
Il quadro delle aziende digitali che contano per il loro giro di affari ci segnala invece come l’Europa continui a rimanere insignificante mentre solo i paesi asiatici, in particolare la Cina, riescono a sfidare lo strapotere statunitense. Sul fronte della distribuzione e gestione personale dei contenuti offerti i progressi fatti tramite le tecnologie di rete sono stati così notevoli che oggi vi è una grande disponibilità di opzioni per moltiplicare/aggregare canali e contenuti e spostare la fruizione in un’ottica di playlist altamente individualizzanti, cosa che sta rivoluzionando anche il consumo di televisione, che sterza costantemente verso una fruizione on-demand.
Se la rete è imprescindibile per le persone (consumatori) e quindi per le aziende, ci sono settori di attività che, per ragioni varie e anche complesse, devono ancora capire come sfruttarne maggiormente le potenzialità o, per dirla in altro modo, resistono ad aprirsi alle nuove possibilità comunicative/applicative.
Indubbia invece è la crescita del volume di dati trasferiti dagli utenti via accesso mobile, così come l’importanza preponderante della comunicazione visuale (video) – da ricordare comunque che circa l’80% dei volumi del traffico rete rimane appannaggio, per i paesi meglio infrastrutturati, di trasferimenti effettuati tramite la rete fissa, anche combinata con il WI-FI.
La dedizione quotidiana alle interazioni con gli apparati e le piattaforme digitali, se assomigliamo agli utenti statunitensi, è raddoppiata negli ultimi 5 anni: da circa 3 a 6 ore giornaliere su pc/tablet/smartphone, con questi ultimi che assomigliano sempre di più ai tamagotchi degli anni ’90, giochini elettronici che richiedevano la nostra continua e amorosa attenzione per poter rimanere in vita, anche se qui sono proprio questi apparati che sembrano fornirci l’energia propulsiva!
Ovviamente, il tempo speso sui media è importante per gli interessi della pubblicità, che rimane uno degli obiettivi più ambiti per guadagnare “facile” su internet – alla fine, come sappiamo, sembra esserlo solo per i big che riescono ad aggregare e controllare enormi audience. Ben si vede dai numeri mostrati sul guadagno medio annuale per utente, dove si prendono in considerazione solo i player di successo – Facebook, con i suoi 1,4 miliardi di utenti registra un ARPU (Avarage Revenue Per User) annualizzato di 10 dollari, mentre Twitter, con 300 milioni di sottoscrittori, la metà.
Mettendo in relazione il tempo di “engagement” con l’attuale spesa effettuata dal settore pubblicitario sui vari canali si capisce come vi sia un’azione mirata a sfruttare maggiormente il canale mobile che, per varie ragioni, non ultimo la grandezza degli schermi che penalizzano il cosiddetto visual advertising, potenzialmente mostra ampi margini di crescita – come realizzarli è un bel problema vista anche la natura “permalosa”, più intimistica e personale, dei dispositivi. Tra l’altro, per catturare attenzione la pubblicità visuale web si sta abituando a occupare porzioni considerevoli dello schermo, preferibilmente con applicazioni video e la cosa che mal si concilia con la limitatezza spaziale e variabile, in base ai vari form factor dei dispositivi. I media cartacei, rispetto al tempo dedicatovi, appaiono invece supervalutati in termini di investimenti pubblicitari.
Sulla nostra crescente abitudine a fruire e anche generare video tramite gli onnipresenti smartphone, e su i suoi risvolti estetici e tecnologici, vi è da fare un inciso. Il tema è riconducibile alla cosiddetta sindrome del video verticale, su cui vi è un divertentissimo video tutorial – esso prova a spiegare perché contrastare la cattiva abitudine a riprendere e postare video tramite telefonini lasciati per comodità o disattenzione in posizione verticale!
Tuttavia, la stessa piattaforma di video youtube si è dovuta arrendere al fenomeno rilasciando su piattaforma android un aggiornamento della sua applicazione mobile, che ora ritrasmette regolarmente i video rispettando la verticalità autoriale. Insomma, nonostante le polemiche dei bravi video-maker che ci invitano a coordinarci con la visione naturale e orizzontale dei nostri occhi allestendo filmati nei formati appropriati, i dispensatori di servizio e di apparati riproduttivi stanno ormai sdoganando e accettando anche gli utilizzi meni professionali.
In effetti, non è detto poi che l’estetica nel nuovo contesto non possa riadattarsi e farsi apprezzare anche meglio, mettendo in evidenza, ad esempio, caratteristiche prima più difficili da catturare, innanzitutto l’immediatezza e la spontaneità della situazione (Video verticali sui piccoli schermi? Ecco perché sono sempre di più, 2015).
Professionalità amatoriale
Focalizziamoci ora meglio sul tema dell’imprenditorialità digitale. Per ovvie ragioni di spazio e tempo restringeremo la nostra finestra prendendo in considerazione soprattutto la crescente estensione di soluzioni e tecnologie nate tipicamente per scopi amatoriali al mondo professionale – per tante nuove realtà aziendali, ovviamente, i due mondi sono connaturati.
Una sezione del report denominata re-imagining ci evidenzia come il mondo aziendale appaia ormai andare a traino della user experience digitale a cui le persone si abituano negli usi più generali e trasversali, e uno dei driver principali di queste nuove soluzioni è la semplificazione/integrazione dei processi. L’applicazione Slack ne è un esempio. Essa infatti si propone come ambiente di comunicazione collaborativa unificante da utilizzare ovunque (app mobile e desktop), integrabile con altri popolari servizi su cui normalmente si depositano informazioni quali Google Drive, Dropbox, OneDrive, Box, ecc. così come con i sistemi di notifica dei vari sistemi operativi per segnalare l’accadimento di eventi. Slack è organizzato per canali/progetti (#) in cui è possibile indirizzare, allegandovi tutti i materiali di supporto necessari (testo, audio/video, ecc.) le relative comunicazioni, che rimangono registrate e searchable nella loro evoluzione.
Altri nuovi servizi, tipo Square e Stripe, indirizzano invece il tema dei pagamenti tramite carte di credito. Il primo consente a un qualunque commerciate (merchant) di dotarsi di un POS (Point of Sale) semplicemente inserendo un piccolo lettore di carte di credito nel pin-jack del proprio cellulare, su cui è ovviamente installata l’applicazione con i suoi rimandi ai sistemi di back-end/gateway dei circuiti di credito.
Stripe, concorrente agguerrito per le applicazioni business del più famoso sistema PayPal, semplifica invece ai programmatori e-commerce l’articolato interfacciamento con i sistemi e le logiche commerciali/tecniche sottostanti tali circuiti di pagamento. Stripe mette infatti a disposizioni una serie di chiamate di servizio elementari (APIs, Application Program Interface) che, inserite tramite poche righe di codice nelle pagine HTML del sito, si prendono in carico lo svolgimento delle azioni rimandandone l’esecuzione ai suoi server nel cloud, un elegante modo per velocizzare gli sviluppi dei fornitori del servizio e-commerce che non devono così ri-programmare funzionalità per loro non core-business e per lo più standardizzate.
Il servizio Domo, un sistema di business intelligence in cloud, ha invece come obiettivo di centralizzare e illustrare nella maniera più diretta e comprensibile possibile tutti gli indicatori che si vogliono utilizzare per monitorare e controllare gli andamenti degli eventi/fenomeni a cui siamo interessati, indicatori che sono il risultato di analisi e stream informativi alimentabili dalle più svariate fonti interne ed esterne all’azienda (qui si può avere la lista dei connettori possibili). Da parte sua, Docusign si dedica a fluidificare le transazioni che richiedono infine un assenso formale tramite una firma personale, e si cura di farlo utilizzando firme digitalizzate.
Con il servizio Intercom approcciamo invece il problema di avere un servizio di customer care a 360 gradi. Come indica il suo stesso logo, l’immagine di un citofono, la sua funzionalità primaria consiste nell’offrire sempre al cliente un canale di interazione unico che è attivabile all’interno di ogni pagine web o in ogni applicazione. Lo stato e lo storico delle interazioni intercorse diventano allora la base organica per il controllo e le analisi sull’andamento e la qualità dei servizi offerti.
Gainsight è un servizio disegnato attorno a pratiche e tecnonogie che mirano a rafforzare la relazione/soddisfazione tra cliente e fornitore nelle nuove forme di economia (subscription economy) dei servizi pay-per-use, dove la fidelizzazione del cliente diviene fondamentale in quanto si è in situazioni in cui, con barriere a entrare e uscire veramente basse, il successo del fornitore è mantenuto solo dal concomitante successo del compratore.
Directly è un servizio per migliorare l’efficacia del customer care in quanto smista le chiamate di supporto effettuate dalla clientela direttamente ai lavoratori che nell’azienda sono ritenuti più esperti della materia. Le domande di aiuto sono dirottate sulla base del tema e della disponibilità dell’esperto che, munito dell’applicazione mobile, entra in un sistema incentivante di ricompense legate al soddisfacimento del cliente.
Zenefits è un servizio in cloud, quindi on-demand su internet (Software as a Service, SaaS) che gestisce per le aziende la funzione di Human Resource (buste paga, sistemi di benefit, assicurazioni sanitarie, offerte lavoro, ecc.) offrendo il servizio gratuitamente – gli introiti sono assicurati dalle aziende associate che forniscono i servizi relativi ai piani assicurativi e di benefit. Sempre nel tema del lavoro Greenhouse offre un servizio SaaS per la gestione delle procedure di ricerca e assunzione dei candidati-lavoratori.
Interessante e ormai quasi tipica è l’implementazione di questi servizi accedibili via piattaforme cloud su infrastrutture terze. Greenhouse è infatti costruito, per ragioni di sicurezza dati e scalabilità, sulle infrastrutture applicative offerte da Heroku (azienda fornitrice di servizi Platform as a Service) che è, a sua volta, ospitata sulle infrastrutture di computing e storage di Amazon – i suoi servizi IaaS (Infrastructure as a Service) sono definiti con il brand Amazon Web Services.
Anaplan invece è un servizio SaaS che ha l’obiettivo di collegare e dare una visione integrata e continuamente aggiornata della pianificazione aziendale sviluppata a livello di finanza, vendite e operativa sganciandole dai tool stand-alone su cui normalmente esse si basano. Checr fornisce invece microservizi tramite APIs, ovvero informazioni on-demand sollecitate all’interno di applicazioni software da parte di qualche altra piattaforma di servizio in rete, intesi a riportare indicazioni di verifica su persone a fronte di esigenze diverse (assunzioni lavorative, controllo residenza, pericolosità, ecc.), una funzionalità molto richiesta nel momento in cui si offrono servizi on-demand, ad esempio nel caso dei servizi taxi.
Envoy è una soluzione che si occupa dell’accoglienza dei visitatori di una location. L’applicazione in cloud richiede l’uso di un iPAD locale (per sede) e una stampante di etichette e funziona come receptionist pronta a collezionare i dati del visitatore e produrre un eventuale badge, oltre che pre-avvertire le persone da incontrare.
Come è evidente, le possibilità di sviluppare nuovi servizi è strettamente collegata alla diffusione e agli usi delle nuove tecnologie, nel senso che le stesse ne creano sicuramente le opportunità, anche in termini di predisposizione – co-evolvendo insieme, esse ci rendono permeabili e sensibili, a volte anche impazienti, verso le nuove possibilità. Gli smarthone e il loro utilizzo presso le generazioni giovani sono emblematici di tali dinamiche anche se la fioritura di servizi di successo è poi legata alla quantità di investimenti garantiti ai progetti dagli investitori privati, più propensi a finanziare applicazioni quando indirizzate a esaudire necessità in settori promettenti.
In ultimo, la progettualità di servizi alimentata dagli sviluppi digitali, come ben sappiamo, si espande ormai nei settori più diversi travalicando i confini delle mere applicazioni software per infiltrarsi direttamente, grazie all’incorporazione dell’intelligenza in hardware distribuito e intercomunicante, in dispositivi che svolgono attività di più varia natura. Il caso dei droni, in cui i maker digitali amatoriali hanno giocato un ruolo fondamentale nel creare un movimento progettuale globale che si è sviluppato tramite internet e piattaforme hardware auto-programmate, è indicativo e altrettanto esplicativo di quanta creatività applicativa poi un filone rieasce a sollecitare.
Riferimenti
KPGB, 2015 Internet Trends.
“Video verticali sui piccoli schermi? Ecco perché sono sempre di più“, Corriere.it, 13/8/2015.