E’ appena uscito presso l’editore Franco Angeli un libro collettaneo Media che cambiano, parole che restano curato da Davide Borrelli e Mihaela Gavrila che mi vede coinvolto su due temi, quello del cloud computing e dell’ubiquitous media, due fronti che collocano i miei contributi nella sezione del testo più legata ai recenti cambiamenti nelle pratiche mediali. Più in generale, riprendendo dalla introduzione,
il libro prende in esame alcune fra le più significative trasformazioni che stanno investendo il mondo della comunicazione e con esso l’intera società globale. Lo abbiamo fatto a partire da ventisette parole chiave che, a nostro giudizio, rappresentano altrettanti vettori di cambiamento nel panorama sociale e culturale contemporaneo. Più che un lessico sui media, abbiamo inteso allestire un repertorio di temi e di idee per osservare e leggere il presente dal grandangolo della comunicazione e delle sue mediamorfosi tecnologico-culturali (Fidler, 1997; Morcellini,2000; Manovich, 2010). Il volume è stato concepito per fare il punto sulle nuove tendenze che emergono oggi nel panorama dei media, ma anche e soprattutto per contribuire ad allargare lo spettro dei fenomeni oggetto di studio dei “comunicazionisti” (in particolare degli studiosi dei media propriamente intesi) nella convinzione che, dal loro osservatorio privilegiato, essi possano dire molto e indagare in profondità il “mondo che siamo” (Borrelli, 2008), a condizione che abbandonino la riserva protetta dello specialismo disciplinare. Un libro sulla comunicazione e a partire dalla comunicazione, quindi, ma anche al di là della comunicazione, ovvero al di fuori della provincia finita in cui negli ultimi tempi i media studies stanno correndo il rischio di arroccarsi, con l’effetto di sbiadire la loro intrinseca vocazione ad interpretare il mondo contemporaneo. Siamo convinti, infatti, che lo studio dei fenomeni comunicativi debba assumere oggi il senso di un esercizio di analisi e critica sociale. Di vera e propria filosofia del presente, se intendiamo per filosofia – come ha proposto Luce Irigaray (2002) – non già l’“amore della saggezza” ma la “saggezza dell’amore”, ossia la conoscenza delle molteplici forme di relazione che legano tra loro gli individui e che formano complessivamente il cemento immateriale del vivere insieme. Il volume è il risultato della capacità interpretativa di studiosi e professionisti che hanno inserito nelle priorità di studio e di ricerca vecchi e nuovi territori della comunicazione. Un libro a 27 voci che fonde, senza rinuncia- re alla fondamentale differenza tra le personalità culturali dei contributors,entro un solo racconto della modernità comunicativa, scuole, generazioni e punti di vista di persone che al posto delle bandiere di province scientifiche hanno scelto quella della passione e della fiducia nel sapere e nella buona comunicazione.
Di seguito gli incipit dei miei contributi:
Il cloud computing. La nuova fabbrica dei media
L’inarrestabile popolamento delle reti di tele-comunicazione e il ricco supporto che esse offrono alle persone in termini di utilità, relazionalità ed espressività richiedono infrastrutture complesse e distribuite che impegnano quantità crescenti di risorse telematiche. Eppure, nonostante la crescente adozione delle applicazioni di social network e il coinvolgimento di persone di ogni età e strato sociale, del motore tecnologico che dispensa queste meraviglie sentiamo parlare in termini sempre più eterei e opachi, con richiami che si spingono a evocare le nuvole (cloud computing). Nella realtà, le nuove metodologie implementative dell’ICT si stanno rivelando dei veri e propri generatori di media. Piattaforme operative potenti in grado di ospitare e supportare le applicazioni cross-mediali di nuova generazione (web 2.0 e oltre) alimentano importanti fenomeni di cybersocialità. E tuttavia, al nostro vivere sempre più nella dimensione del computing (Reed 2009) fa riscontro una crescente invisibilità delle sue infrastrutture. Pensando alla storia dei media e al suo invito a ridare spessore al medium nelle sue relazioni con le pratiche economiche, sociali e culturali, proveremo a dare conto dei nuovi corsi e dei risvolti che tutto ciò può riservare per i contesti della produzione e del consumo, soprattutto alla luce dei cambiamenti nel rapporto tra risorse informatiche, persone e società.
Ubiquitous media. Il futuro che viviamo
Tra gli artefatti umani le tecnologie della comunicazione e dell’informazione si distinguono per la loro capacità di influenzare profondamente il rapporto che intratteniamo con la realtà. In particolare, il matrimonio tra media e informatica ha ridisegnato i confini e lo spettro del “classico” lavoro di inter-mediazione attraverso cui gli esseri umani esperiscono il mondo materiale e immateriale. Se fino a poco tempo fa era abbastanza semplice impostare un discorso sui media separandoli analiticamente dagli elementi o processi circostanti, la porosità dei dispositivi digitali info-comunicativi ci costringe a elaborare nuovi punti di vista rendendo ancora più evidente che il nostro futuro è legato alle nuove forme che il tele-computing sta assumendo e al modo in cui ci predisponiamo ad afferrarle. L’evoluzione connettiva ci attira infatti sempre più in situazioni in cui ci allontaniamo da esperienze di tipo frontale per sperimentare condizioni postinterface (Savini, 2009). Le interfacce che mediano tra realtà interne ed esterne divengono un complesso gioco multisensoriale e multicanale, in cui è possibile percepire e attivare informazioni come se la persona avesse un sesto senso (Di Bari, 2009). Per introdurci nell’attuale scenario dell’ubiquitous computing/media, l’ulteriore stadio di compenetrazione tra persone, computer, oggetti e ambienti, ripartiremo dagli anni in cui i computer iniziavano a cambiare pelle per la terza volta.