Promesse e incubi dell’autoveicolo autonomo
In un mondo in continuo scombussolamento il tema del driverless automotive appare esageratamente supponente nel suo obiettivo di automatizzare completamente la guida degli autoveicoli facendo a meno di un autista umano. La pretesa è quella di dare vita ad auto capaci di dominare tutti gli eventi a contorno e raggiungere mete prestabilite con il solo impegno di comunicarle. Saliremo in macchina e non dovremo preoccuparci se non di rilassarci e impegnarci in qualche modo, sicuri di essere comunque trasportati laddove desideriamo, chiusi in un bozzolo che realizza sia una forma meccanizzata di teletrasporto che l’immunizzazione alle contaminazioni empatiche degli accadimenti.
Non so quante siano o dove possano trovarsi corsie stradali così predisposte o predisponibili a combinarsi per operare in questo servizio in modalità end-to-end. Se dovessi avanzare un’ipotesi, allertato anche dalla continua procrastinazione delle date di lancio effettivo del prodotto/servizio, direi che all’industria automobilistica più che il fine interessino gli stimoli e le ricadute che il percorso del progetto comunque comporta. Pensando alla capacità del settore di mobilitare enormi capitali e alla necessità di doversi rilanciare attraverso sfide esagerate, sulla strategia si potrebbe anche concordare. In fondo, cosa rimane attualmente del fascino automobilistico o della sua user experience? Per la maggioranza della popolazione mondiale, residente nelle aree metropolitane, è solo nella pubblicità che gli autoveicoli scorrono solitari e silenziosi sfrecciando in paesaggi lussureggianti e fluidi, mentre nella stessa terra promessa della nuove frontiere dell’automazione automobilistica il cinema suggerisce (più prosaicamente) di organizzare coreografie per balli di massa sulle (sempre) intasate arterie stradali (La la land).
Certo, gli enormi capitali investiti potrebbero essere impegnati nel trasporto pubblico ma, essendo capitali privati, gli attuali scenari politici del liberalismo imperanti quasi ovunque non contemplano il buonsenso di tale possibilità.
Ad ogni modo, ci sono molti risvolti interessanti in questi generi di sviluppi tecnologici, spesso narrati solo seguendo la fanfara del marketing che, tra le principali ambizioni, non ha quella di farci riflettere sull’argomento meno distrattamente. Ad esempio, sul cambiamento della filiera produttiva e distributiva o sulla probabile eliminazione di molti posti di lavoro nei vari settori di intermediazione, o sullo strapotere delle case automobilistiche, che avrebbero il dominio centralizzato e completo degli sviluppi, implementazioni e offerte. Si pensi agli enormi cambiamenti in termini di consumi e dunque di organizzazione logistica, con i clienti che, probabilmente, preferirebbero accedere in forma di servizio con richieste specifiche (di volta in volta e in base all’utilità: auto sportive, auto famigliari, fuoristrada, …), un servizio che si trasformerebbe in una sorta di valletto automobilistico (car valet). Altri temi, quali quelli legali o etici – cosa accade in caso di malfunzionamenti che provocano incidenti, ferimenti o morti – sono ancora più controversi.
Ad oggi rimaniamo comunque ancora saldamente nella fase in cui si prova a cavalcare in positivo l’ebrezza delle novità ma, sulla scia delle critiche alle sfide globalizzanti e alle loro conseguenze non proprio per tutti brillanti, si inizia a incontrare osservazioni che provano a ripristinare sul fenomeno uno sguardo più disincantato e preoccupato.
Proposizioni e sfide dell’automazione
Come sempre quando si apre un nuovo filone industriale, il progetto delle autonomous car diventa più intrigante se lo intendiamo nei termini dei cosiddetti spillover effect, ovvero delle ricadute e degli stimoli positivi (progettuali ed economici) che si sprigionano in tanti ambiti settoriali, anche in settori del tutto inattesi. Il piano finanziato dall’amministrazione Obama sul tema degli avanzamenti in termini di sicurezza, mobilità e sostenibilità (del valore di 4 miliardi di dollari) va sicuramente in questa direzione ed è il modo per provare ad affermarsi industrialmente tentando di costituire un’ecologia di attività i cui confini sono difficilmente delineabili a priori, come sempre accade in una condizione di forte innovazione. Ammettiamolo, in queste fasi servono visione e “spalle larghe”, un’opera di semina che non debba poi subire processi per la eventuale dispersione di alcuni semi in qualche rivolo che potrebbe rivelarsi (ma solo con il senno di poi) infruttuoso.
Ovviamente un’idea di incrementalità progettuale è insito nella stessa codificazione del progetto per cui, rimanendo in territorio statunitense, la piena autonomia di guida di un autoveicolo si ottiene solo quando, nei 5 livelli di evoluzione definiti dalla National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), si è raggiunto il quinto stadio, il solo che contempla un “dispositivo pienamente autonomo” in grado di muoversi in “ogni scenario” facendo a meno di un guidatore umano.
Una ovvia conseguenza di questo processo evolutivo è che i nostri autoveicoli, già da tempo, tendono ad arricchirsi di dispositivi che automatizzano funzionalità prima delegate al guidatore. Il cambio automatico è un esempio facilmente comprensibile mentre per altri dispositivi, che “aumentano” le nostre capacità di guida dotandoci di controlli normalmente detenuti da piloti sportivi esperti, i meccanismi automatizzati sono meno intuibili (ad esempio per le funzionalità di controllo stradale quali EBS, ASR).
Ma la parte di autonomia funzionale che l’autovettura ha l’obbligo di conquistare per raggiungere l’obiettivo finale riguarda certamente la questione del controllo ambientale. L’autoveicolo deve avere, per così dire, coscienza, istante per istante e durante il movimento, della sua collocazione spaziale in relazione a tutto ciò che lo circonda. Da questo punto di vista la sfida diventa veramente intrigante nella sua necessità di collegarsi e relazionarsi al massimo con tutti gli elementi circostanti , statici e dinamici, considerando le configurazioni possibili come perennemente incerte nelle possibilità di improvvise modifiche in uno qualsiasi degli elementi in gioco.
Per incoraggiare e alimentare questo genere di dominio si stanno sviluppando dei sistemi di mappature molto innovativi il cui fine è di consentire una ricostruzione tridimensionale e in real time della realtà. A leggere di questi sviluppi vengono in mente i contesti dei videogiochi o considerazioni su come sia facile, di questi tempi, passare da situazioni di science finction a situazione di science fact. Come si immaginerà, il compito non risulta del tutto agevole, e almeno per due motivi.
La prima ragione di preoccupazione è la necessità di controllare con assoluta certezza la propria e altrui posizione nel territorio transitato. Essa richiede una continua opera di elaborazione di informazioni provenienti sia da sorgenti vive (come sensori) che da depositi strutturati contenenti informazioni pre-elaborate (quali mappe “statiche”) utili ad abbozzare uno scenario che deve comunque essere sempre continuamente ri-aggiornato sulla base dei riscontri effettivi, in un processo ricorsivo in cui potrebbero essere gli stessi autoveicoli ad apportare le correzioni rilevate in campo, ad esempio re-inserendo i cambiamenti riscontrati nelle mappe per rimetterle subito a disposizione degli altri utilizzatori.
Le soluzioni in via di implementazione da parte delle case automobilistiche e delle aziende specializzate nei sistemi di mappatura sono varie e prendono in considerazione filosofie elaborative diverse: sia quelle che centralizzano al massimo le capacità elaborative necessarie a costituire e processare tali meccanismi in siti (cloud) raggiungibili via rete wireless dalle autovetture per lo scambio e coordinamento di informazioni e azioni, sia quelle che le distribuiscono maggiormente nelle e tra le stesse autovetture cosicché il carico elaborativo sia diffuso e più vicino ai dispositivi in gioco. Per avere un’idea più dettagliata sull’argomento rimando all’interessante articolo di Ars Technica in bibliografia.
La prevedibilità dell’imprevedibilità
Un articolo del New York Times tra le tante preoccupazioni ne cita cinque: il comportamento impredicibile degli altri esseri umani alla guida di auto meno smart; l’indecifrabilità delle indicazioni stradali, soprattutto quelle sull’asfalto per usura, mancanza e molte altre cause; le mappature digitali imprecise o mancanti; intercettare le buche, che possono essere nascoste sotto qualunque superficie o generarsi all’improvviso; i criteri da adottare nel momento in cui ci sono scelte difficile che coinvolgerebbero manovre pericolose che potrebbero ferire, a secondo la decisione, gli occupanti o i pedoni o gli occupanti degli altri autoveicoli coinvolgibili.
Tuttavia, anche in seguito della eco e della grande ascesa degli attacchi informatici deliberati o della distribuzione mirata di fake news, un’altro tipo di riflessione comincia a far capolino sempre più insistentemente. E con questa chiuderemo questa veloce vista…
Se l’aspetto delle tecniche elaborative e comunicative da adottare rimane una problematica centrale per la realizzazione di questo scenario, un altro tema altrettanto fondamentale è infatti il rischio che qualche dispositivo possa rivelarsi permeabile a fornire/ricevere/trasmettere comunicazioni malevoli e fuorviati. Per evidenziare provocatoriamente il problema l’artista londinese James Bridle, famoso per elaborare lavori che si interrogano sull’estensione del mondo digitale verso il mondo fisico, ha elaborato un’opera chiamata “Autonomous Trap 001”. Essa mostra un autoveicolo autonomo fermo in un parcheggio in due cerchi concentrici dal significato contrastante (si può entrare/non si possono oltreppassare le linee).
Ciò che state vedendo è un cerchio di sale, una forma tradizionale di protezione – dall’interno o dall’esterno – nella pratica della magia. In questo caso è stata usata per bloccare un autoveicolo autonomo – una driverless car che si muove contando sul lavoro del computing e del processamento degli input visivi. Sfruttando le consuete forme della segnaletica stradale – in questo caso nessun punto di entrata – possiamo confondere il sistema di visione della macchina lasciando credergli che è circondata da nessuna via di uscita, intrappolandola (2017, vice.com).
La provocazione di James Bridle potrebbe apparire ingenua nella sua semplicità, ma la risposta sul tema data dallo specialista Andy Birnie a un giornalista del Guardian non sembra proprio rassicurante.
Per definizione una driverless car ha più unità di controllo, capacità elaborativa, linee di codice e connessioni wireless con il mondo esterno rispetto ad un autoveicolo odierno, ed è ciò a renderla vulnerabile ad attacchi informatici spiega Andy Biernie responsabile system engineering a NXP Semiconductors. “Un hacker può potenzialmente prendere il controllo dell’autoveicolo attraverso lo sfruttamento di una qualche debolezza (baco) e potrebbe impedire alla macchina di partire o provocare un incidente oppure potrebbe puntare ad ottenere informazioni sul proprietario e i suoi dati, compresi quelli finanziari”. Tuttavia, si sta lavorando sulla sicurezza tenendo conto anche di questo scenario, egli afferma. “Vi è ora una maggiore attenzione sulle funzionalità fondamentali – implementare buone norme di sicurezza alle aree critiche includendo le interfacce che connettono il veicolo al mondo esterno; i gateway, che separano i sistemi di sicurezza critici dagli altri sistemi del veicolo e dai sistemi infotainment; e le reti che forniscono comunicazioni sicure tra le unità di controllo – ve ne sono oltre 150 in un autoveicolo autonomo”. Inoltre, i maggiori avanzamenti nella sicurezza includono gli aggiornamenti software “over-the-air”, che possono fissare le vulnerabilità praticamente in real-time [una volta conosciuti… NDR], afferma Birnie (2017, the guardian).
Bibliografia
Automated driving levels of driving automation are defined in new sae international standard j3016, SAE.
Meet the Artist Using Ritual Magic to Trap Self-Driving Cars, 18/5/2017, Vice.com.
5 Things That Give Self-Driving Cars Headaches, 6/6/2016, The New York Times.
The most detailed maps of the world will be for cars, not humans, 11/3/2017, Ars Technica.com.
Twelve things you need to know about driverless cars, 15/1/2017, The guardian.