danah boyd e le sue sonde adoloscenziali
Indagare il contesto socioculturale in cui le tecnologie della comunicazione sono situate è il marchio distintivo della poliedrica ricercatrice sociale danah boyd, essa stessa nativa digitale, accademica e professionista — attualmente Principal Researcher presso Microsoft. Conseguentemente, i suoi lavori sono difficilmente riassumibili attraverso semplici slogan.
Nel caso della sua ultima fatica, approdo di una lunga serie di ricerche sulla socialità dei giovani mediata dal digitale, l’avviso ci arriva fin dal titolo. It’s Complicated: The Social Lives of Networked Teens può essere in effetti interpretato in due sensi: la difficoltà di comprendere gli usi sociali dei media rimanendo nei termini di un destino determinato dai soli aspetti tecnologici e la difficoltà a rapportarsi, tra opportunità e sfide, ai nuovi ambienti di interazione digitale da parte delle persone.
Pur centrato sui giovani, l’autrice vede gli adolescenti solo come caso ideal-tipico poiché, se nel versante opportunità essi sono facilitati nel maneggiare/navigare i media, sul versante delle sfide scontano la debolezza insita nel loro stato transitivo di crescita e di scarso potere sociale.
Ad una narrativa tesa a dipingere gli adolescenti come esseri sociali altamente agevolati dalle tecnologie digitali fa così da controcanto il reale e problematico travaglio delle loro vite digitali. In effetti, mentre gli immigrati digitali si trovano impegnati ad adeguare o espandere la loro presenza sociale nei nuovi contesti innervati dalle tecnologie del virtuale, le pratiche e strategie sociali degli adolescenti devono fare i conti con un campo di azione generale preparato e condizionato dagli adulti.
Su questa base si sviluppano riflessioni e insegnamenti che riguardano l’intera società. La verità è che ormai siamo tutti avviluppati in contesti che presentano novità con cui è inevitabile aprire un confronto e il cui risultato non può che migliorare il livello di conoscenza sulle condizioni e i compromessi con cui, in positivo e negativo, dobbiamo convivere.
Come evidenzia la boyd, in conseguenza degli ambienti online e delle reti pubbliche i rapporti sociali — nel loro articolarsi — devono già fare i conti con almeno quattro grandi cambiamenti, in termini di:
persistenza (persistence) delle informazioni: i contenuti e le espressioni sono registrate su una scala che non ha precedenti;
visibilità (visibility): la condivisione della nostra presenza a larghe — e anche sconosciute — audience è la norma, mentre la privacy è ottenuta solo dietro uno sforzo supplementale e molto impegnativo;
diffondibilità (spreadability): le informazioni e i contenuti sono facilmente diffondibili e le strumentazioni per agevolarne la disponibilità sempre più semplici;
ricercabilità (searchability): la facilità a rintracciare qualunque tipo di contenuto partendo da indizi parziali.
Un potente combinato disposto di questi cambiamenti è il collasso dei contesti in cui fluttuano normalmente i messaggi e le informazioni con cui tutti siamo quotidianamente abituati a ricostruire o negoziare significati, un fatto questo che già richiede abilità ed esercizio di potere nuovi.
In questa ottica, secondo la boyd, le ansie degli adulti per le esperienze online dei giovani — soprattutto da parte dei genitori — andrebbero meglio indirizzate, ad esempio provando a capire cosa accade davvero nei circuiti dei social network e come si alimentano tali dinamiche. L’invito implicito è di supportare le esigenze umane da cui esse scaturiscono (naturalmente) come controreazioni di agibilità ambientale, soprattutto perché riguardano (anche) le parti più depotenziate della popolazione, su cui abbiamo responsabilità diretta e indiretta.
Il senso di ansia per come gli adolescenti si impegnano con la tecnologia non è nuovo ma pochi si domandano perché essi abbracciano ogni nuova tecnologia con tale fervore. Le immagini di visi di adolescenti illuminati dai riflessi dei monitor dei computer echeggiano le immagini antecedenti relative al bagliore televisivo che altrettanto attirava i giovani. I genitori nelle precedenti generazioni si agitavano per le ore passate a incontrarsi o scambiarsi chiamate al telefono. Gli adolescenti attuali non spendono ore a parlare al telefono fisso, ma essi stanno ancora conversando – si aggiornano con gli altri sui social network, postano immagini e video, spediscono testi di messaggio agli amici. Le ragioni principali per investire così tanta energia nelle loro attività online sono il divertimento e la socialità… [Spesso si accosta questo attaccamento ai social media all’essere drogati, ma questo attaccamento] è una nuova estensione di un tipico impegno umano. Il loro uso dei social media come loro luogo primario di socialità è per la maggior parte delle volte un risultato di dinamiche culturali che non hanno niente a che fare con la tecnologia, e coinvolgono le vite così intensamente organizzate degli adolescenti e le restrizioni fissate dai genitori. I giovani si indirizzano e sono ossessionati verso qualunque ambiente consenta loro di connettersi con gli amici. La maggior parte di loro non è drogata di social media, e se di un accanimento si vuole comunque parlare, esso è rivolto alla ricerca del reciproco incontro. (boyd 2004, p. 77-79).
In ultimo, il ben documentato lavoro sull’uso dei giovani dei social media attraversa una griglia problematica che include la maggior parte dei temi attorno cui ruota l’attenzione della opinione pubblica: identità, privacy, bullismo, alfabetizzazione digitale, “pericoli” dei contatti, reperimento e/o abuso delle informazione, ineguaglianze nell’accesso.
Mentre su di essi si offre un punto di vista interno, ricco di esperienze e analisi rispetto ai resoconti sugli impatti del digitale a cui siamo abituati dalla pubblicistica frettolosa e generalista, la ricerca ha l’indubbio merito di riproporre con equilibrio e apparente semplicità i termini e la profondità della ri-mediazione sociale a cui siamo tutti sottoposti.
Post Scriptum
In coda vorrei riportare, a integrazione, una porzione di testo di un lavoro pubblicato qualche anno fa (2008) e dedicato alla diffusione ubiqua dei media. Fu in quella occasione che trovai, tra gli altri, un valido supporto nella ancor giovane ma già famosa danah boyd. Nel sottotitolo del testo indicavamo proprio la “ricattura del mondo” come dimensione insita nelle proprietà abilitanti dei nuovi media.
Nell’articolazione del tema, e in riferimento agli usi dei social network come tentativi dei giovani di riappropriarsi degli spazi di intimità e socialità, valutavamo
illuminanti le ricerche delle sociologhe Danah Boyd e Nicole Ellison sulla costruzione degli spazi sociali da parte dei giovani, i frequentatori maggiori di questi nuovi ambienti – i quali, non casualmente, in questa orgia di dilatazione globale si presentano come penisole geopardizzate a carattere prevalentemente localistico. Potremmo partire dai complessi sconvolgimenti economici e sociali, o dalla crisi dei valori o dell’ambiente per trovare dei validi motivi di turbamento e di stimolo per una qualche forma di reazione e di “ricattura” del mondo. Ma, pur essendo parte delle istanze, se fossimo meno distratti e intellettualmente più onesti, propensi ad accettare le nostre responsabilità più che a lamentarci dei pericoli tecnologici, ci accorgeremmo che l’input all’espansione della cybersocialità si manifesta più ovviamente nelle crisi che accadono già nel nostro immediato circolo d’azione, e che le sue nuove architetture costruttive hanno un’articolazione originale e profonda. Ad esempio, per rimanere nella dimensione più intimistica e tattica, come reazione alle compressioni dell’agibilità fisica. Diminuiscono gli spazi fisici pubblici, ma anche privati, disponibili per gli incontri ed aumentano conseguentemente le zone in cui c’è il controllo degli adulti. Ecco allora che gli spazi virtuali diventano i luoghi “franchi” per riconquistare una maggiore prossimità e/o avere più indicazioni sui propri pari, la via per “mantenere un rapporto con quelli che si potrebbero incontrare “offline”, faccia a faccia (Ellison 2008; cfr. Boyd 2007). Insomma, più che per evaporare o dare inizio a “relazioni con estranei, l’instant messaging, l’e-mail e gli altri strumenti digitali sono usati principalmente per mantenere i rapporti con le persone della stretta prossimità fisica e sociale”. Non solo, ma all’appiattimento rappresentativo dei social network fa riscontro una sofisticata gestione e compenetrazione dei piani esistenziali, al contempo complessa e fluida: “i partecipanti modellano dei contesti sociali e delle comunità locali” e, data le possibilità di apertura garantita dal tipo di medium, imparano necessariamente a gestire un nuovo genere di negoziazione sociale tra gruppi, norme, comportamenti, modi di presentare e interazioni che sono diverse, spesso collidenti. In conclusione, “vi è una relazione inversa tra la scala dei social network e la qualità delle relazioni che in esse si stabiliscono – una relazione radicata nei limiti temporali e di attenzione dell’essere umano. È anche dimostrato che le reti digitali non si limitano mai a replicare il sociale ma sviluppano inevitabilmente delle proprie dinamiche attraverso cui diventano il sociale. L’interazione delle persone con i sistemi d’informazione è segnato costantemente dal gioco e dalla sperimentazione in quanto le persone mettono alla prova I limiti del loro ambiente sociale, gestendo le conseguenze di interazioni inattese e di contesti alterati”. Le strutture sociali digitali sfidano continuamente i confini che definiscono le comunità ma il ristabilimento delle cornici e dei comportamenti è un processo generativo che non ha mai fine, in cui si esplorano i “legami latenti” che, nella maggior parte dei casi, “fanno già parte della loro rete sociale estesa” (Boyd 2008; Boyd, Ellison 2007). Le ricerche sul campo confermano a ripetizione queste analisi: le generazioni nate nel mondo digitale sono quelle più abili a sfruttare le potenzialità cross-mediali e le interazioni creative tra mondi fisici e virtuali, ma non scartano e anzi enfatizzano le modalità di rapporto più classiche – prima di tutto gli incontri “vocali” del telefono e quelli faccia a faccia (Pew 2007). D’altro canto, vi sono stati esperimenti altamente indicativi di queste tendenze anche prima che le connessioni “always-on” fisse o mobili esplodessero a livello di massa. Una delle ricerche più famose è stata condotta nella cittadina di Netville dal sociologo canadese Barry Wellman, un antesignano della social network analysis. Netville, sobborgo di Toronto, è un comprensorio composto di un centinaio di case cablate direttamente con apparecchiature di accesso alla rete alla velocità di 10 Mb/s già alla fine degli anni ’90. Ciò che risultò dalle indagini, condotte a stretto contatto con la quotidianità delle persone tra il 1997-1999, è che “la comunicazione mediata con il computer riesce ad alimentare gli effetti di ‘glocalizzazione’: aumentano tanto i contatti locali quanto quelli a distanza… in pratica la maggior parte delle persone usa qualunque mezzo necessario per rimanere in contatto con i membri della comunità: incontri di persona, con il telefono così come con internet… [incontri] che rinforzano le comunità esistenti, stabilendo contatti e incoraggiando il reciproco supporto in modalità precedentemente inimmaginabili” (Hampton, Wellman 2002, p. 368)» (Petullà 2008, pp. 30-31).
Bibliografia
boyd, D., 2007, “Why Youth (Heart) Social Network Sites: The Role of Networked Publics in
Teenage Social Life“, in Buckingham, D., a cura, MacArthur Foundation Series on Digital
Learning – Youth, Identity, and Digital Media Volume, Cambridge, MA, MIT Press, pp. 119-
142.
boyd, d., 2008, “None of this is Real.“, in Karaganis, J., a cura, Structures of Participation in
Digital Culture, New York, Social Science Research Council, pp. 132-157.
boyd, d., 2004, It’s Complicated. The Social Lives of Networked Teens, New Haven,Yale University Press.
Ellison, N., 2008, intervista in “Web globali, reti locali”, Nova Il Sole 24 Ore, 31/1, p. 17.
Hampton, K.N., Wellman, B., 2002, “The not so Global village of Netville”, in Wellman, B.,
Haythornthwaite, a cura, The internet in everyday life, Oxford, Blackwell publishing, pp. 345-
371.
Petullà, L., 2008, Media e computer liquidi. Le dimensioni dell’ubiquitous computing e la ricattura del mondo, Milano, Lampi di stampa.
Pew, 2007, Teens and Social Media, Pew Internet & American Life Project, 29/12.