Un cosa straziante e allo stesso tempo di illuminante attualità sta andando in scena sotto i nostri occhi, o meglio, dato l’argomento, davanti alle nostre orecchie. Il tema è ampiamente trattato ma poco criticamente commentato e riguarda l’imprendiscibilità del confronto tra logiche mediatiche, potere e forme di dislocamento e rappresentazione del corpo, con i loro inesorabili risvolti.
E’ tempo che assistiamo in diretta all’inevitabile seppure naturale declino fisico di un uomo che ha nel mondo un ruolo speciale. Il corpo del Papa sta affrontando dignitosamente e caparbiamente la vecchiaia. E tuttavia, le sue vicissitudini sono inestricabilmente intrecciate, nel ben e nel male, con il funzionamento dei media che, per la sua particolare posizione, ha sia largamente utilizzato che bonariamente subito in quanto oggetto di continua attenzione.
Il fatto è che l’assunzione di una dimensione relazionale che eccede l’ambito della presenza fisica, così normale nella modernità grazie ai mezzi di comunicazione, ridefinisce i confini corporei, che vengono per così dire espropriati della propria fisicità.
Tali alterazioni o deformazioni delineano ora un corpo diverso, un corpo proteiforme e immaginifico che definiamo appunto mediale. Il suo funzionamento e le sue strategie, così efficacemente sfruttate per i più diversi fini, rispondono ora a regole spesso non immediatamente individuabili ma che, proprio per la sua nuova natura di corpo rarefatto ma non per questo meno vero, è bene abituarsi a considerare in termini più precisi.
L’attuale vicenda del Santo Padre ci ricorda proprio quanto sia delicato questo passaggio, come la nostra realtà sostanziale sia intimamente intrecciata con tali riconfigurazioni corporee, e come queste possano giocare infine un ruolo preponderante. Ripeto, niente da demonizzare, ma sicuramente tanta materia per riflettere sulle nostre (relativamente) nuove condizioni di vita associata.
Che cosa sta accadendo? Il Papa sta scivolando in una situazione in cui il degrado di una sua qualità fisica, quella vocale, lo pone al rischio di dover abdicare alle sue alte funzioni ecclesiali. Potremmo tranquillamente affermare che il Papa, sotto uno stretto profilo fisico, stia fondamentalmente bene, almeno tenendo conto dell’età, ma lo stesso non si può dire ragionando nei termini del suo corpo mediale, vale a dire sul complesso modo in cui viviamo effettivamente la sua presenza. La comprensibile ansietà che trapela dal suo entourage gerarchico, pur filtrata da una ferrea gestione informativa, sembra rispondere alle tipiche preoccupazioni che un apparato, spinto da una impellente urgenza, ha nel momento in cui è il corpo mediale ad andare in crisi.
In un ambiente di media più statici e corporalmente asettici, ad esempio quello della carta stampata, non ci sarebbe stata questa ansia per riassicurare tutti delle sue qualità vocali. Ma in un mondo così immerso in fitti flussi audio-visivi, interconnesso e veloce, dove si devono riaffermare e contrastare le migliaia di voci che continuamente levandosi dibattono, dove è necessario ristabilire e rispecificare i significati del giusto vivere da parte di una guida, si deve possedere una voce sempre pronta a intervenire, e una voce autorevolmente riconoscibile.
In una selva di immagini e di suoni sincronizzati e/o dilatati nel tempo e nello spazio la voce nei media gioca un ruolo fondamentale. La voce è il portale di una persona. Essa è riconoscibile come solo una voce può esserlo in quanto direttamente proveniente da “quel” corpo, un essere che nella sua voce sigilla il suo “esserci”, e nel farlo ci accomuna e rafforza nel medesimo flusso di vita.
E’ vero che il potere, qualunque sua forma e quindi anche quella autorevole della religione, non ha potuto mai fare a meno della voce, mentre per le strategie visive l’utilizzo è più rarefatto ed elaborato. Ma oggi e specialmente in questo caso la questione è ancora più critica. La frequenza degli interventi richiede al corpo mediale, che vive in una dimensione di scala e in un tempo planetario, un’efficienza vocale esagerata.
La paura di perdere la potenza della voce ha una ragione obiettiva e tutta interna sia al modo di funzionare dei media che alla filosofia della religione cristiana. Laddove i meccanismi dei media allontanano dalle condizioni che consideriamo più vere per sentire vivo e reale un rapporto umano, una qualche forma di contatto fisico, la voce agisce come meccanismo compensatorio in quanto riesce, con la sua qualità, a farci sentire la presenza del corpo della persona. In breve, è una forma di antidoto interna ai media, capace di calmare la nostra ansia per il fatto di non poter stare fisicamente vicini. Una voce calda e viva, il suo soffio particolarmente screziato, serve per riscattare l’alienazione della mediazione.
Il fatto che si debba riflettere sul corpo mediale diventa oggi un’azione imprescindibile per comprendere le nostre nuove condizioni di vita. Le difficoltà ad accettare i cambiamenti sono evidenti nel rapporto tra new media e Chiesa, notoriamente un rapporto di meditata distanza. Lo sconfinamento, la dislocazione e l’ibridazione dell’essere umano che avvengono grazie a tali mezzi è per quest’ultima un problema.
Il timore di non poter usufruire della presenza vocale assicurata da un corpo pienamente sano è amplificato dal non poterla compensare, perché non in linea con le proprie filosofie, tramite altre soluzioni prospetiche. La forza della voce naturale gode sicuramente di tutta la simpatia possibile per il fatto che la ricomposizione, nella dinamica mediale, è ottenuta grazie alla riproposizione ed alla umana magia di un elemento e lavoro atavico semplice e pur potente. La naturalità anti-macchinica della voce non solo rende accettabile lo straniamento dei contatti distanti e incorporei, ma si sposa con la stessa filosofia umanista del credo cattolico.
Non si può dire altrettanto di altri meccanismi disponibili a risolvere questi problemi di interfacciamento, che si presentano per tali fini inutilizzabili. Passi per la strumentalità della papa-mobile, l’autovettura o i marchingegni che si prestano a risolvere i problemi di movimento del Santo Padre. Ma sarebbe veramente inaccettabile un Papa che si esprime come lo scienziato Stephen Hawking che, aiutato da un sistema di comunicazione computerizzato per la sintesi vocale, riesce con le dita a produrre fino a 10 parole al minuto. L’accanimento nel risolvere il problema della bassa e scarsa qualità vocale del Papa non prende certo in considerazione una simile soluzione.
Perché ciò stimolerebbe addirittura un percorso di riflessione inverso, quello della nostra possibile continuità con le macchine. Non possiamo certo pretendere che la Chiesa ci aiuti in tale percorso potenziando in questa maniera il corpo del suo soggetto più rappresentativo, per incoraggiare così una seria riflessione sul complesso e antico sgretolamento/ricomponimento delle nostre esistenze tra gli incerti confini di specie, materia ed esperienza.
Forse il dramma è proprio in questo. Contare e, allo stesso tempo, non fare i conti con scenari che richiederebbero adeguamenti in grado di far rimanere le persone ancora incluse in tali contesti e rimandare i tempi di rielaborazione di filosofie e approcci più consoni alle nostre attuali esistenze.
Ma che tali temi bussino sempre più fragorosamente alla nostre porte è provato proprio dall’eccentricità di questa storia. Essa sembra svolgersi, e così è per lo più raccontata, su un piano di umana pietà per la naturale eppure insopportabile finitudine di un corpo a cui attribuiamo un amore speciale. E tuttavia, non è facile sopprimere l’idea che a dettarne lo svolgimento siano per lo più le ragioni che ne inficiano l’esistenza proprio in quanto corpo mediale.
www.quintostato.it, 5 marzo 2005