Recensione del libro “Communication as … Perspectives on Theory” di Gregory J. Shepherd, Jeffrey St. John, Ted Striphas
Come quasi tutti abbiamo avuto modo di sperimentare, il saggio collettaneo ha sempre insito il rischio della disomogeneità. Se è lecito aspettarsi la variabilità degli stili espressivi, si rimane spesso delusi anche dal dislivello qualitativo dei vari contributi e permane netta l’impressione che alla scarsa attenzione del curatore nel selezionare o mettere un argine agli interventi si sia ovviato con l’abbondanza dell’offerta, sicuri che il lettore curioso vi trovi poi un qualche spunto interessante.
Sotto questo aspetto il saggio qui presentato potrebbe candidarsi, dall’alto dei suoi 27 piccoli saggi, come caso “idealtipico”. Tuttavia, pur non scampando del tutto a questa deriva, questo insieme di agili riflessioni sulla comunicazione andrebbe giudicato secondo altri parametri visto che lo scopo dichiarato dei curatori è stato proprio quello di garantire la massima libertà sul tema.
L’argomento centrale del libro, che è poi la domanda posta ad alcuni studiosi statunitensi attivi nella communication research, riguarda il modo di alimentare la ricerca dovendo scegliere tra le tante metafore quella ritenuta dal singolo autore più proficua per approfondire la comunicazione e i suoi media. L’invito è stato quello di essere più unilaterali e creativi possibile per far risaltare nelle differenze degli approcci la ricchezza del campo di studio catturando i tratti salienti del fenomeno comunicativo.
Gli interventi si collocano dichiaratamente nel solco tracciato dallo studioso James Carey e, in effetti, l’idea del saggio, come si sarà intuito dal titolo richiamante il suo famoso testo “Communication as Culture”, è partita proprio da un convegno a lui dedicato. Il lavoro è dunque un tentativo di rinverdirne le intuizioni, e già il fatto di esporsi a tale arduo compito lo rende perlomeno meritevole di interesse. Per altri versi, e più opportunisticamente, il volume è un’occasione per avere riuniti studiosi che, se togliamo i più noti Carolyn Marvin e John Durham Peters, i cui contributi (detto per inciso) risultano tra i più riusciti, sono in Italia scarsamente conosciuti.
Le metafore attraverso cui ci si propone di intendere la comunicazione sono disposte in quattro sezioni, definite nei termini di: esperienziale, materiale, contestuale, politica e filosofica. Questi modi di interpretare la comunicazione sono declinati via via in termini di relazionalità, rituale, trascendenza, pratiche, memoria collettiva, deliberazione, racconto, etnicità, techné, argomentazione razionale, incarnazione, disseminazione, ecc.
Come ben spiega nel suo intervento Peters, si tratta di usare la metafora come una lente, “a volte, un’utile lente con effetti distorcenti, che ci aiuta a fronteggiare delle problematiche di base quali l’interazione, la presenza, lo spazio e il tempo, problematiche che sono destinate ad apparire, in qualche forma, nell’agenda di qualunque futura teoria della comunicazione in generale”.
Alla luce dell’intreccio delle prospettive teoriche che tali percorsi promettono, è chiaro che l’opera non è rivolta a coloro che nella comunicazione sono soprattutto interessati agli approfondimenti metodologici o agli aspetti più propriamente empirici. Piuttosto, potremmo dire che tali generi di riflessione si rivelano utili per valutare gli indirizzi generali della ricerca in quanto sottoposti a una lettura critica che, nel migliore dei casi, potrebbe portare alla registrazione delle relative strumentazioni d’indagine.
A tal fine, vale la pena di riprendere in maniera estesa proprio alcune considerazioni critiche della Marvin, per la quale è sempre un bene riflettere sui paradigmi comunicativi che ci informano e, per quanto arduo, doveroso inoltrarsi sia nelle loro fondamenta costitutive che nei risvolti interpretativi.
Il suo intervento è centrato sulla tendenza che le forme della comunicazione hanno nell’edulcorare o cancellare il corpo e riordinare i confini tra rappresentazione e rappresentati.
Vi è un detto sinistro per cui il successo di un regime è misurato dal numero delle persone che lo sopravvivono. Niente dimostra più chiaramente che i corpi sono i materiali grezzi della società e l’incarnazione della nostra più importante condizione morale. A questo fine, il lavoro principale della società è di riprodurre, organizzare, sviluppare e distribuire i corpi. Il lavoro della cultura è quello di giustificare, soddisfare e insegnare questo genere di accomodamenti.
Le moderne società cercano di sostenere gli oneri dell’allevamento dei bambini, del lavoro e della guerra attraverso un consenso che in parte dipende dal rifiuto, da parte della collettività, di forme di distribuzione particolaristiche dei relativi sacrifici. L’opera simbolica di testualizzazione è centrale nel fare che ciò accada. Essa incoraggia la spiegazione in termini immateriali degli oneri sotto forma di parole e immagini altamente filtrate, arrangiati in tabulati statistici ricevuti al sicuro in ambienti nei quali le persone particolarmente oppresse – poveri, malati, disoccupati e carcerati – hanno poco accesso.
La testualizzazione quindi crea il moderno dilemma in cui vediamo la classe intellettuale alimentata dai testi rischiare di perdere il tocco, con tutto ciò che il termine implica: non solo le condizioni reali che sostengono la loro società ma anche i propri impegni morali come corpi con una volontà, per i quali non vi è sostituzione al fine della sopravvivenza del gruppo. Tale classe incontra il mondo attraverso le rappresentazioni vicariamente distanti e la semplificazione delle astrazioni. Essa è sfidata non solo dall’empatia con le condizioni reali della classe del corpo su cui costruisce i suoi poteri, ma anche dalle tentazioni del relativismo morale che diluisce le sue convinzioni.
Per la comunità la classe del corpo mette i corpi di coloro che ama nella trincea. In questa corporalità sacrificale la relatività morale non è possibile. Il dogmatismo morale è il dilemma della classe del corpo.
Entrambe le concezioni sono responsabili nella condivisione degli orrori del mondo così come nei suoi ottenimenti più preziosi. Comprendere le complessità che assediano questi paradigmi comunicativi e le conseguenze del loro destino incrociato è per gli studiosi della comunicazione una sfida severa ed enorme.
Titolo: Communication as … : Perspectives on Theory
Curatori: Gregory J. Shepherd, Jeffrey St. John, Ted Striphas
Editore: Sage Publications
Anno: 2005