Il corpo dell’avatar
Strana e affascinante storia quella della premiazione attribuita dal recente Festival del Cinema di Roma a Scarlett Johansson, considerata migliore attrice per aver prestato la sua voce, nel film Her del regista Spike Jonze, al nuovo sistema operativo di un conputer. Esso (lei, Samantha) presenta nuove caratteristiche cognitive, intuitive e autoapprendenti che gli consentono di entrare in una relazione amorosa con il protagonista.
Si è fatta molta ironia sulla faccenda partendo dal fatto che proprio in Italia non sentiremo mai la sua “presenza” attoriale essendo noto che da noi vige la rigida pratica di doppiare i film. Tra l’altro, la Johansson, ma anche molti altri vincitori, non si sono fatti vedere alla premiazione se non attraverso messaggi video.
Insomma, ormai è assodato: siamo abituati a incontrarci in una natura mista di presenza online e offline, in questo caso molto più di prima specie. Il cinema, grazie alla sua fondante sensibilità per le forme fantasmatiche, tramite cui riesce a riprodurre il “massimo di realtà” (Alberto Abruzzese), si prende dunque l’incombenza di certificarlo.
Per inciso, l’attrice una puntatina fisica preventiva al Festival l’ha fatta, ma pare trascinata in un’operazione “ruffiana” utile a rianimare il livello delle ambizioni di un festival sempre più declinante sulla china di una doppia crisi: quella del cinema italiano e quella delle casse cittadine, essendo la Capitale il maggiore sponsor della manifestazione — da qui le polemiche per il fatto che la passerella sia stata infine pagata dai contribuenti.
Trattandosi del mondo dello spettacolo, sappiamo di esporci al rischio di cadere in una trama ben orchestrata per alimentare l’evento, ma in questa speciale premiazione vi sono veramente elementi di calda attualità. Per dire, la giuria dei Golden Globes 2014, la manifestazione che precede di due mesi gli Oscar cinematografici, ha appena dichiarato la Johansson non candidabile al premio appunto per non avere i requisiti appropriati, ovvero una piena partecipazione (visiva e vocale).
In verità, smentendo se stessa, un premio di quel tipo fu nel passato già assegnato all’attore Robin Williams, che nel 1993 vinse uno Special Award ai Golden Globes per il suo doppiaggio del genio di Aladdin, noto film d’animazione della Disney.
Volendo, potremmo allora già porre una questione di minore/maggiore arretratezza/consapevolezza tra la decisione della giuria romana, pronta a riconoscere valore all’opera di “rianimazione” vocale di un sistema operativo del computer ormai intimamente connesso e connettibile alla sensibilità e al territorio (trans)umano, e quella statunitense, che non obiettò nel caso più tradizionale di coinvolgimento dei personaggi dei cartoni animati, tra l’altro già molto più facilmente riconoscibili e accettati come umani.
Ma l’aspetto più interessante, per noi amanti dell’archeologia dei media, sono proprio i molti poteri di quel medium ancestrale che è la voce. In questa vicenda di smaterializzazione e di nuove forme di ibridazione uomo-macchina, la voce riporta densità corporea alle relazioni poiché essa (normalmente) implica e restituisce un corpo, oltre che, in seguito alla sua cattura su dispositivi di registrazione, mediare le soglie tra umano e macchinico.
Riprendiamo le considerazioni del filosofo dei media John Durham Peters:
La voce di ogni persona è la creatura della forma del proprio cranio, dei propri seni, del proprio tratto vocale, dei propri polmoni e, in generale, del proprio fisico. L’età, il luogo d’origine, il sesso, l’educazione, la salute, l’etnicità, la classe sociale e l’umore, tutto risuona nelle nostre voci.
Anatomicamente la voce si pone nella parte più ristretta del corpo (letteralmente, bottleneck “strozzatura del collo”), lungo le vie di passaggio dei nervi spinali, dell’esofago e della trachea: un passaggio, quello, molto trafficato …
Questa predisposizione fa riflettere nella voce, in modalità profonde, l’essere del corpo, e da ciò deriva il suo importante status di organo delle emozioni (essa è collegata al sistema limbico, all’ansietà che alberga in tutti noi in conformità al nostro più profondo essere animale)…
I media moderni lasciano la voce in un curioso limbo tra il corpo e la macchina, il testo e la performance, l’animale e l’angelo, l’evento singolare e la ripetizione senza fine. Quando Thom Yorke dei Radiohead canta, per fare un esempio, non è chiaro se egli debba essere ascoltato come un uomo, un angelo, una macchina, un demone o un animale o, diversamente, come tutti questi (2007).
Oppure, seguiamo solo una frazione delle riflessioni che, in un incredibile libro sul potere della voce dissociata – voci che si sentono ma di cui non vediamo i corpi o voci provenienti da “altri” corpi, tipiche situazioni esperite all’interno dei nostri ambienti mediali – ci offre sul tema il critico letterario e storico dei media Steven Connor:
Il principio del corpo vocalico è semplice. Le voci sono prodotte dai corpi, ma anche loro possono produrre corpi. Il corpo vocalico è l’idea – che può prendere la forma del sogno, della fantasia, dell’ideale, della dottrina teologica o dell’allucinazione – di un surrogato o di un corpo secondario, una proiezione di un nuovo modo di possedere o essere un corpo, formato e sostenuto con le operazioni autonome della voce. La storia del ventriloquio viene compresa in parte nei termini del repertorio di immagini o incarnazioni che essa fornisce per questi corpi-voce autonomi. Essa ci mostra chiaramente che gli esseri umani in molti e diversi ambienti culturali trovano fastidiosa l’esperienza di un suono senza origine, e intollerabile quella di una voce senza origine. Il “suono ermeneutico”, identificato da Rick Altman, determina che una voce che non proviene da un corpo deve essere abbinata a un corpo plausibile. Può sembrare allora che la voce sia subordinata al corpo, quando in effetti per esperienza è il contrario, è la voce che sembra colorare e dare una forma al suo contenitore. Quando viene animato dalla voce del ventriloquo, il pupazzo, come il personaggio dei cartoni animati a cui è data la voce, sembra avere un repertorio molto piú ampio di gesti, di espressioni facciali e di tonalità di quando è muto. Lo stesso è vero per ogni oggetto a cui si dà voce; la bambola, il pupazzo ricavato da un guanto, il calzino drappeggiato sopra la mano, cambiano e da oggetti immobili e inerti divengono corpi parlanti animati. Il nostro presupposto che l’oggetto stia parlando permette alla sua voce di prendere in prestito quel corpo, in senso teatrale o anche teologico, come un attore interpreta un ruolo o come la divinità assume la forma incarnata; non solo per entrare e colorirlo ma per produrlo. In realtà, siamo noi che assegniamo le voci agli oggetti; fenomenologicamente, il fatto che una voce non assegnata debba sempre implicare un corpo significa che essa, in parte, provvederà sempre a fornirlo. In effetti, è cosí forte il potere della voce di incarnarsi, che questo processo avviene non solo nel caso delle voci che sembrano separate dalle loro sorgenti evidenti o naturali, ma anche in quello delle voci o delle inflessioni vocali eseguite sulla base di un modello, o degli atteggiamenti, che hanno una sorgente chiaramente identificabile ma che sembrano, per diversi motivi, eccessivi rispetto a quella fonte. Questa voce allora reclama per sé un diverso tipo di corpo, un corpo immaginario che può contraddire, competere con il corpo vero e visibile di chi parla, oppure sostituirlo o anche rimodellarlo (2007).
Le interfacce vocali e gli avatar parlanti non sono più una novità; tutti i maggiori big dell’ecosistema internet ci stanno lavorando alacremente (tra i più attivi, Google, Apple, Yahoo, Microsoft, Amazon, IBM, Nuance).
Gli smartphone da tempo ci offrono assistenti virtuali pronti a eseguire azioni tramite ordini vocali o a leggerci messaggi. La gara a migliorare e ampliare le funzionalità tra i diversi fornitori di tecnologie è forte. L’ultima versione della applicazione Google Now — funzione di ricerca ma anche personal assistant/organizer/esecutore di azioni -— che è installabile sugli smartphone e tablet sembra veramente impressionante per la sua capacità di rispondere a senso e fluidamente alle nostre richieste vocali, almeno vedendo il video postato su diversi siti da Phonebuff, azienda specializzata nel mobile.
Tuttavia, se qualcuno tra i più attenti tecnologi si lancia subito ad affermare che possiamo già iniziare a dire addio alla navigazione del web così come la conosciamo, vi è poi da ricordare i limiti che questi sviluppi comportano. Ad esempio, in termini di diffusione: i dispositivi hardware e software devono avere caratteristiche performative potenti, e ciò vale anche per la disponibilità di connessioni di rete. In termini di modelli di business: gli utilizzi potrebbero non essere così trasversali ma solo indirizzati ad abilitare particolari funzionalità, ad esempio quelle particolarmente utili in condizione di mobilità, dove soffriamo le limitazioni spazio-temporali maggiori.
Invece, per il resto, gli sviluppi cercheranno di evitare che gli eyeball diventino al momento secondari essendo ancora essenziali per retribuire via advertising ciò che si spende per questi stessi avanzamenti tecnologici!
Avendo attenzione a questi esercizi di equilibrismo, diviene più semplice scampare al rischio di predizioni fallaci e accogliere con più pragmatismo commerciale le nuove possibilità delle applicazioni vocali. Ad esempio, gli sviluppi mirati come svela la recentissima acquisizione da parte di Yahoo della azienda Skyphrase. Fondata dallo scienziato cognitivo Nick Cassimatis, Skyphrase si è specializzata nel processare il linguaggio naturale. Nello specifico, il suo software permette a una persona di scrivere comandi strutturati utilizzando solo la voce.
In sintesi, utilizzando la voce si potrebbe chiedere a Yahoo di fornirci dei servizi (notizie, video, ecc.,) nel momento in cui accadono determinate condizioni quali, ad esempio, una particolare performance o risultato in un certo ambito sportivo – l’esempio non è casuale avendo Yahoo un servizio molto seguito dagli appassionati di football, che utilizzano l’app Fanstay Sports Football per “dialogare” testualmente con gli altri partecipanti, ma anche scegliere giocatori, fare ricerche o mantenere sotto controllo la propria squadra.
In ultimo, a questo attivismo vocale da pochi giorni si è aggregato anche Wikipeda, che vuole aggiungere le voci alle voci 🙂 dei suoi articoli di natura biografica. L’iniziativa è così spiegata da uno dei suoi contributori più famosi, il giornalista inglese Andy Mabbett, che così risponde alla domanda su che cosa si impara ad ascoltare una voce:
È una cosa molto personale. Se pensate alle persone della vostra vita, attraverso la loro voce stabilite una conoscenza nel momento in cui la si ascolta, tanto quanto, e a volte molto di più, che attraverso una un’immagine fotografica… Con una voce, la conoscenza è immediata. Non so voi personalmente, ma se ascolto una voce dal passato buio e distante proveniente dal periodo delle registrazioni rimaste sui cilindri di cera, ad esempio di una persona come l’infermiera Florence Nightingale, rimango eccitato dal riavere con loro quel genere di connessione. Praticamente, stiamo facendo la stessa cosa per le persone di oggi.
P.S.
Sul film Her e del rapporto tra tecnologia, corpi, immaginario e società mi permetto di rimandare in bibliografia a due sopraggiunti e stimolanti interventi da parte di Nello Barile — L’universo tecnologico di Her e gli avamposti di un nuovo regime emozionale — e Alberto Abruzzese — “Her” di Spike Jonze: un film sulla masturbazione.
Riferimenti
Abruzzese, A., 2014, “Her” di Spike Jonze: un film sulla masturbazione.
Barile, N., 2014, L’universo tecnologico di Her e gli avamposti di un nuovo regime emozionale.
Connor, S., 2007, La voce come medium. Storia culturale del ventriloquio, Sossella, Roma.
Peters, J. D., 2005, “La voce e i media moderni”, in Petullà, L., Borrelli, D., Il videofonino. Genesi e orizzonti del telefono con le immagini, Meltemi, Roma.
Jarvis, J., “Past the Page”, Buzzmachine.com, 30/11/2013.
“Yahoo Acquires SkyPhrase – Pie In The Sky Or Future Cloud Offering?”, Forbes.com, 02/12/2013.
“Wikipedia Archiving Voices So You’ll Always Know How Celebs Sound“, npr.org, 3/2/2014.