L’ad server è stato il primo esempio di agente pubblicitario informatizzato ed uno dei nodi di base degli ad networks. In pratica nasce come costola separata di un web server, vale a dire il computer e software1 collegato in rete che si occupa di organizzare e pubblicare quando richiesto i contenuti editoriali di un sito web. Vista la centralità dell’advertising e la sua natura altamente dinamica, sia in termini di relazioni commerciali che di tecniche, il lavoro pubblicitario viene così concentrato/specializzato in una piattaforma di servizio apposita e parallela con cui si acquisiscono e gestiscono le campagne pubblicitarie che l’editore del sito web vuole far passare, offrendo agli inserzionisti strumenti di inserimento e di orchestrazione dei messaggi, così come dettagliate analisi degli utilizzi.
In effetti, fin dall’inizio l’ad server si mette a disposizione di quel mondo di agenti pubblicitari già tradizionalmente articolato in reti organizzative in cui risaltano i ruoli dei broker, vale a dire di coloro che aggregano/adattano/arricchiscono offerta e domanda degli spazi editoriali, facendole incontrare nello specifico.
Negli stessi anni del decollo della pubblicità online (1995-1996) attorno agli ad server nascono modelli organizzativi e tecnologici diversi per la gestione dei propri spazi editoriali. Gli ad server possono essere installati e gestiti localmente affianco al proprio sito web, ma gli editori possono utilizzare anche soluzioni remotizzate, offerte e gestite centralmente da aziende terze. Se l’ambizione e le economie di scala del grande editore possono giustificare un investimento organizzativo e tecnico specifico, per altre aziende può essere conveniente usufruire di un servizio organizzato da un broker che, su una piattaforma di rete centralizzata ma suddivisa in sottodomini white label dedicati, caratterizza univocamente gli accessi, parzializza feature e risorse e sincronizza, attraverso specifici protocolli, il lavoro di interscambio con il relativo web server del cliente-editore.
Una piattaforma centralizzata che svolge la funzione di più ad server si può allora facilmente trasformare o estendere in un vero e proprio ad network che riesce a mettere in relazione i diversi inserzionisti e i diversi editori abbinandoli al meglio in termini di targeting. Un tale circuito ha il potere di ri-aggregare pubblicitariamente le molte piccole audience dei siti meno rilevanti riuscendo anche a rimettere in circolo su un mercato secondario quanto di invenduto in termini di spazi editoriali rimane sui siti principali, un po’ come avviene nei circuiti fisici del retail quando lo smaltimento dell’invenduto passa attraverso gli outlet.
In effetti, l’efficientamento della pubblicità attraverso un ad network comporta per lo più una contrazione del prezzo pagato dagli inserzionisti. D’altro canto, è la stessa crescita dei contenuti disponibili, così come la competizione sviluppatasi tra le diverse centinaia di orgazizzazioni ad network, a comportare effetti economici diluitivi.
Driver e media-morfosi delle piattaforme pubblicitarie
L’organizzazione del back-office della pubblicità online nasce in un’ottica locale al dominio del sito web. Da questo punto di vista, l’editore deve preoccuparsi di gestire contemporaneamente sia i rapporti commerciali e di interscambio delle campagne con gli inserzionisti, sia la produzione e l’organizzazione analitica della grande mole di informazioni che, scaturendo dalle dinamiche interattive e adattive tra contenuti e utenti, sono utili per indirizzare al meglio la pubblicità.
Il tutto deve poi essere compresso nei tempi veloci per garantire una user experience non degradata dalle esigenze pubblicitarie – la composizione dinamica della pagina da visualizzare comprensiva dei contenuti pubblicitari deve avvenire entro un tempo accettabile dell’ordine di qualche centinaia di millisecondi. Una prima evoluzione tecnologica consiste nel delegare le logiche di inserimento dei messaggi pubblicitari all’interno delle pagine web ad una piattaforma specifica (ad server). Essa affianca quindi il lavoro del web server e, allo stesso tempo, si specializza nella gestione delle campagne pubblicitarie gestendo gli input degli inserzionisti in termini di materiali espositivi (ad creative) e criteri attuativi.
L’ampliamento dell’attività editoriale, che vede il moltiplicarsi dei siti web appartenenti a una certa impresa, ma anche l’offerta di servizi centralizzati di ad server per più editori, si configurano come un’ulteriore evoluzione che vede la piattaforma come un vero e proprio network pubblicitario. Il network pubblicitario amplia dunque le possibilità di incontro tra inserzionisti, agenzie ed editori, ma ognuno risulta alla fine circoscritto in un determinato dominio. D’altro canto, la natura globale di internet fa estendere e moltiplicare a dismisura gli ad network visto anche che le barriere culturali, grazie alla versatilità programmatica delle user interface (lingue, simboli) e a una certa omologazione a livello di life style e consumi, non rappresentano un ostacolo per la raccolta e la distribuzione della pubblicità nei diversi territori fisici del globo.
Volendo provare a delineare le tensioni che sottendono un simile campo d’azione possiamo mettere in evidenza come la frammentazione dell’offerta e della domanda incida comunque sui vari attori. Lo scopo degli inserzionisti è di raggiungere il massimo di audience e ciò vale anche ai fini del successo in termini di una efficace individuazione del consumer interessato. In un sistema chiuso, invece, l’editore/i del network potrebbero avvantaggiarsi a livello dei prezzi pur rimanendo un problema gli spazi invenduti, più facilmente smaltibili agganciando un’ulteriore dose di domanda esterna.
In ogni caso, in un ambiente di rete intrinsecamente portato ad esplorare vie alternative è difficile frenare i propositi di miglioramento, soprattutto quelli (corteggiatissimi) di chi è costretto (scetticamente) a investire in pubblicità aspettandosi il massimo dei ritorni. Mentre gli inserzionisti si vedono obbligati, anche complicandosi la vita gestionale, ad aumentare le interfacce inserendosi nei vari ad network, si apre la strada ad un’altra opportunità di brokeraggio. Le piattaforme di servizio ad exchange si offrono come vere e proprie centrali di interscambio pubblicitario che, in real time e per le quote che si vogliono commercializzare, operano come hub che smistano i messaggi pubblicitari verso i diversi circuiti di ad network collegati, risolvendo economicamente le transazioni allestendo meccanismi di asta in real-time.
Ovviamente, lo stesso problema che si era presentato in termini di frammentazione per gli ad network lo si ritrova anche a livello di ad exchange in quanto sono diverse le imprese che li implementano. Nonostante il peso in termini di esternalità di rete sia sbilanciato in favore di alcune realtà – spesso aziende che nell’ambito dell’automazione pubblicitaria svolgono contemporaneamente più ruoli funzionali – nessuno riesce a garantire la piena copertura dei network pubblicitari.
Inoltre, questi soggetti hanno sempre il problema di far collimare, con una riconosciuta neutralità, gli interessi contrastanti di editori e inserzionisti, con i primi che vorrebbero massimizzare e i secondi minimizzare i costi degli spazi editoriali. Il problema viene affrontato attraverso l’intermediazione di altre due tipologie di piattaforme. Le Supply Side Platform o Sell Side Platform si prendono in carico l’onere di interfacciare e aggregare i venditori di spazi (editori) semplificando il rapporto in entrata e smistando le disponibilità verso i vari sistemi di ad exchange. Le Demand Side Platform fanno lo stesso con chi vuole acquistare gli spazi.
A differenza degli ad network e degli ad exchange, che forniscono agli inserzionisti/editori servizi aggiuntivi di gestione e che (spesso) sono tra loro intercambiabili in termini di funzionalità, le piattaforme SSP e DSP offrono essenzialmente puri servizi di ottimizzazione per la partecipazione alle aste online, garantendo le adeguate prestazioni a livello di performance e di allineamento rispetto alle continue sofisticazioni dei criteri attuativi e degli interfacciamenti con gli altri sistemi. Inoltre, esse fungono pure da gateway per immettere nei circuiti di scambio le informazioni aggiuntive che possono meglio valorizzare le transazioni tra domanda e offerta provenienti da sistemi alimentati dai vari broker e marketer specializzati nella segmentazione e tageting delle audience (DMP, Data Management Platform).
Ad ogni modo, quando pensiamo a tutti questi dispositivi dovremmo avere l’accortezza di immaginarli come partecipanti ad un quadro composito nel senso che essi si introducono in ambienti preesistenti e già funzionanti, spesso rafforzando piattaforme editoriali proprietarie più o meno complesse oppure, più raramente, agendo come terze parti neutrali. In effetti, ogni innovazione va ad arricchire le soluzioni in campo. Alla fine, il sistema si stabilizza (temporaneamente) in un’operatività che funziona sia con le classiche tecniche in-house (ad server) che con i circuiti esterni (SSP, DSP, ad network, ad exchange), con percentuali di addebito sul totale di transazioni realizzate che variano in dipendenza del momento2.
Lo straripamento digitale
Sebbene ancora parte minoritaria del budget complessivo, la pubblicità online non solo presenta numeri interessanti ma interpreta al meglio le speranze del marketing soprattutto con l’espansione delle applicazioni digitali sui dispositivi mobili individualmente incorporati3.
La creatività e l’indirizzamento astratto verso masse/gruppi più o meno ben profilati inizia ora a lasciare il passo a tecniche che si alimentano prevalentemente dall’analisi incrociate dell’enorme mole dei dati estratti dalle tracce digitali lasciate dalle attività e presenze online delle persone. Se si pensa alle possibilità di tracciamento personale offerte dal cellulare – posizionamento, rilevamento sensoriale, attività – possiamo ben dire che i vari intercettori di dati hanno un problema di sovrabbondanza il cui limite è solo la fantasia e (al momento) le barriere legali. Oppure, forse la cosa più temuta, il probabile turbamento delle persone nello scoprire quanta profonda sia la loro capacità intrusiva4.
In effetti, il discorso è complesso ma non possiamo negare che ormai viaggiamo costantemente sul filo di un compromesso tra le possibilità che diamo (prevalentemente di malavoglia) di sbirciare “sottobanco” nelle nostre attività/idee e lo sfruttamento personale di servizi per la gran parte gratuiti, comodi e ubiqui.
In sintesi, gli avanzamenti nel data-mining sui dati razzolati consentono al marketing di sviluppare profili altamente specifici a livello di singole individualità, basati tra l’altro sugli effettivi comportamenti e i reali pattern di consumo. Ci siamo persino abituati a questa precisione da considerare ancora con più fastidio la pubblicità a largo spettro, che associamo quasi al puro spamming.
Allo stesso modo in cui la disponibilità dei dati ha migliorato la qualità delle potenziali opportunità, la connettività perpetua ha aumentato la quantità. La proliferazione dei dispositivi mobili, il costo decrescente dell’accesso e la popolarità delle piattaforme social hanno incrementato il numero delle vie a disposizione dei brand. In ogni caso, questi stessi fattori rendono anche più difficile per loro incontrarsi: l’attenzione dell’odierna audience è molto più frantumata dal momento che si condividono molti più canali. I consumatori sono anche meglio informati: il controllo sui prezzi è a portata di search, sia se si è davanti alla tv che per shopping. Questo ecosistema in movimento ha già comportato un passaggio da un marketing concentrato sul prodotto e orientato alla transazione, ad un approccio fondato sull’aspetto umano e relazionale. La fedeltà del consumatore al brand è una cosa del passato, sono i brand ora a dimostrare fedeltà ai loro clienti. Le campagne di marketing devono essere consapevoli in termini di timing, luogo e contesto. È anche importante essere tecnologicamente a punto: cross-device, multi-canale, e con una misura costante dei risultati della campagna per una sua rimodulazione continua. La tecnologia odierna ha mitigato enormemente il problema di come agire ma il problema di misura rimane: i consumatori non vogliono essere inondati con un marketing che è troppo odiosamente generico o troppo intrusivamente specifico. I consumatori pretendono una rispettosa pertinenza (DiResta, 2013).
Riferimenti
DiResta, R., 2013, “Demographics are dead: the new, technical face of marketing“, radar.oreilly.com, 3/11.
Note
1 Un web server è tipicamente costituito da componenti hardware e software che supportano primariamente un http server – modulo applicativo di gestione delle interrogazioni e risposte da e verso gli utenti muniti di un http client (browser di navigazione) – e un Data Base, il magazzino dove sono catalogati i contenuti.
2 Il mix tra la quantità di pubblicità gestita direttamente e indirettamente da parte di un editore è chiaramente funzione della sua capacità di attrarre audience. Nonostante l’opacità delle statistiche, i più importanti possono anche trovarsi nella condizione di governarne direttamente solo la metà.
3 Indicativamente, la pubblicità online si avvia a pesare ¼ del totale del fatturato pubblicitario (Emarketer, 2016).
4 Il 14 gennaio 2014 Apple ha depositato una richiesta di brevetto per una tecnologia hardware/software che “inferisce l’umore delle persone basandosi sulle caratteristiche informative degli utilizzatori degli apparati e dei relativi gruppi di contatto” al fine di migliorare l’approccio ai giusti contenuti. US Patent & Trademark Office, <>.