Una indagine sociologica sullo sviluppo dell’homo oeconomicus
Nonostante la gran parte di persone viventi, in ogni luogo del mondo, riesca a dare un senso alle vicissitudini delle proprie esistenze rapportandole a esigenze e desideri di natura plurale – ad ambiti biologici, psicologici, sociali, religiosi, filosofici, economici – è ricorrente invece ritrovarsi schiacciati in logiche discorsive in cui, nel vagliare problematiche comuni, a dettare le regole del gioco sembrano poter essere i soli aspetti economici.
Il prevalere della lente economicistica in molti ambiti delle nostre vite – questa esasperante tendenza di una parte a voler sussumere il tutto – deriva evidentemente da un retaggio ideale profondo e complesso, tanto introiettato e naturalizzato da essere messo raramente in discussione.
Il radicamento dell’utilitarismo economico non risparmia niente ed è sempre alla ricerca di sofisticate forme di colonizzazione. Si pensi al suo insediamento nei mondi digitali, spazi di vita ideati originalmente come oasi alternative, plasmate infine da tecniche surrettizie, il cui fine è il costante controllo delle informazioni/attività personali, analizzate e confezionate come merce di scambio per estrarne comunque valore.
Il potere socio-politico di un tale dispositivo, capace di restringere così spesso il nostro campo ideativo, richiede allora un’opera di decostruzione che sappia ripercorrerne la genealogia e il senso così da evidenziarne anche limiti e aporie.
Data l’intricatezza e pervicacia della questione da un tale lavoro è lecito aspettarsi la richiesta di una lettura impegnativa, ma ogni suggerimento e possibilità di uscire dall’angolo e ravvivare i giochi ripagherà ampiamente gli sforzi vista la molteplicità e drammaticità di implicazioni che il rapporto tra economia e vita reale comporta per ognuno di noi.
La ricerca sociologica come strumento esplorativo
Nel libro Gemelli diversi. Processi di soggettivazione ed economia di mercato (Roma, DeriveApprodi, 2021) Emiliano Bevilacqua e Davide Borrelli si avvalgono della ricerca sociologica per prendersi cura di questa esplorazione.
Partendo dal XVIII secolo e con il supporto di filosofi e sociologi quali Adam Smith, Karl Marx, Max Weber e Michel Foucault, i due sociologi individuano quella che per loro è la chiave critica per spiegare il riduzionismo ad homo oeconomicus della pluralità ideale ed esperienziale umana, ovvero la nascita e saldatura in parallelo di due fenomeni sociali – le possibilità abilitate dalle attività economiche con l’affermazione dell’economia di mercato e il fiorire, in questo ambito, degli sviluppi personali.
Obiettivo dichiarato del lavoro è quindi il recupero della storia economica e sociale nel farsi della vita individuale e ciò non per “abbracciare forme di determinismo ormai screditate, quanto piuttosto rivolgersi alla socialità umana così da riconoscere il campo di reciprocità che lega soggettività e mercato come un oggetto di ricerca complesso e integrato da approfondire nella forma della biunivocità” (p. 8) – cogliendo così nella variabilità storica l’interplay tra stimolazioni economiche e trasformazioni della personalità.
Tenendo in appropriato conto la pregnanza della socialità umana – ed è questo l’impegno e il filo rosso della ricerca – ci si può allora accorgere che “se senza l’economia la soggettività non nasce e non si sviluppa, è anche vero che di sola economia la soggettività rischia di appassire e morire asfissiata” (p. 24), cose ben note agli stessi grandi teorici che hanno così efficacemente approfondito il rapporto tra processi economici e agency umana.
La nascita dell’economia politica in un inedito Adam Smith
Da questo punto di vista è ammirevole il recupero di prospettiva delle opere di Smith, considerato il fondatore della economia politica, normalmente riassunto come “il teorico di un individuo egoista che si avvale di una razionalità strumentale per sfruttare utilitaristicamente le opportunità offertegli dal contesto economico” (p. 28), uno studioso di cui però ci si dimentica di citare – raccordandoli agli scritti economici – gli altri altrettanto importanti studi di natura morale.
In realtà, Smith era un osservatore privilegiato dell’affermazione dell’economia di mercato e anche membro della classe dirigente del tempo. Nella trasformazione storica dello sviluppo capitalistico egli vedeva le opportunità ma non ne nascondeva i rischi – i traffici marittimi scozzesi erano uno snodo importante dell’interscambio mondiale dei beni e la corrente culturale illuminista ivi presente era consapevole della nuova strutturazione sociale, in cui crescevano l’interdipendenze dei rapporti personali ma anche i rischi di sconvolgimento delle forme di vita tradizionali legate a ruoli ascritti.
La necessità di minimizzare i conflitti dagli effetti destabilizzanti per le istituzioni – conseguenti ai mutamenti economici – richiedeva quindi un’attenta riflessione anche a livello di filosofia morale, “forgiare una soggettività all’altezza dei tempi avrebbe favorito la costruzione di un ordine europeo prospero e rassicurante, o quantomeno contrastato i rischi politici di una transizione incontrollata verso una società commerciale non ancora ben delineata” (p.42).
L’opera di Smith si dimostra dunque contraria a visioni semplicistiche dell’utilitarismo economico riguardo a benefici generalizzati e automatici, mentre è alla ricerca di nuove forme di equilibrio in grado di contrastare la possibile disintegrazione sociale conseguente a un eccesso di individualismo acquisitivo – si veda ad esempio la sua insistenza sul ruolo vitale delle soggettività simpatetiche così come dei momenti d’immedesimazione nei vissuti altrui per il buon funzionamento sociale. “Ciò che è stato travisato del discorso smithiano è tanto la constatazione della natura sentimentale e sociale dell’uomo quanto il rifiuto a considerare la soggettività come inevitabilmente aggressiva” (p. 31).
Le speranze deluse di Karl Marx
Per altro verso, la trascuratezza nella storia del pensiero per la sicurezza materiale, prodromica sia allo sviluppo sociale che personale, rende importanti e originali le riflessioni di Marx sui legami tra soggettività ed economia in un periodo, quello della rivoluzione industriale, in cui si aprono le speranze di spezzare le catene dei bisogni naturali per liberare nuove energie umane ai fini “di un più libero esercizio dell’autonomia individuale e dell’autorganizzazione sociale” (p. 90) e ciò pur al prezzo – necessario per cambiare il precedente ordine economico e sociale – di un “continuo rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni” (p. 92).
Ma se in questo frangente alla società borghese è riconosciuta la capacità di avviare su larga scala “un inedito processo di soggettivazione [allo stesso tempo essa si rivela] incapace di svolgerlo compiutamente” (p. 93).
L’ampliamento della quantità e qualità degli oggetti può arricchire la vita sociale e personale delle persone, così come potrebbe risolvere l’ineguale distribuzione dei beni primari. Nel suo approccio socio-centrico dell’individuo Marx vede le opportunità del mercato come innesco a un mutamento antropologico in una visione che tiene insieme benessere individuale e progresso sociale, una possibilità che dovrà fare i conti con una realtà che si dispiega altrimenti – con la concentrazione del capitale nelle mani della sola borghesia, che si appropria dei mezzi di produzione e della loro crescente profittabilità, trasformando masse di individui in operai formalmente liberi di impiegarsi, ma solo presso gli stessi proprietari borghesi, alimentando importanti fenomeni di disagio individuale e di alienazione.
“La presa dell’utilitarismo investe a un tempo la sfera materiale della riproduzione individuale (direttamente dipendente dall’ineguale assetto proprietario), la dimensione relazionale della vita sociale (indirettamente ricondotta alla logica strumentale del feticismo [ndr. il prodotto che domina l’uomo] ) e infine la vita interiore (sospinta in una condizione alienata che deriva dalla sottrazione di potere, significato e socialità attivata dal capitalismo)” (p. 99).
Il sostrato culturale del capitalismo economico in Max Weber
Tuttavia, lo sviluppo del rapporto tra processi di soggettivazione ed economia avviene anche attraverso dinamiche di natura culturale e valoriale. Questo passaggio è analizzato tramite l’opera di Weber, che ha collegato il valore etico assegnato dalla religione protestante al lavoro come fonte di evidenza – nel mondo materiale – del proprio stato di grazia con Dio. Guidando l’uomo verso un’indefessa operosità “si schiude, così, la porta al profilarsi della figura storica rappresentata dal borghese fideisticamente votato a un attivismo professionale inesauribile, sola opportunità in grado di tacitare la paura della morte e di conservarsi nella fiducia dell’elezione divina” (p. 120).
Combinata con altre condizioni storiche che agevolano l’attecchimento del capitalismo, l’analisi weberiana evidenzia la forza propulsiva dell’etica protestante come opera disincantante verso i fatti intramondani cosicché il razionalismo etico diventa una risorsa fondamentale per un atteggiamento cognitivo-strumentale nelle interazioni sociali e nel lavoro – fattore che plasma la “visione del mondo e gli atteggiamenti individuali nella direzione di una razionalizzazione di tipo essenzialmente economica” (p. 141).
Una soggettività così costruita da una parte riesce a spiegare come il capitalismo economico possa essersi sviluppato e diventare una potenza così dominante, dall’altra non riesce a nascondere di essere caduta in una condizione esistenziale “irrazionale” – come riconosciuto dallo stesso Weber – essendo l’attività lucrativa non più funzionale ai bisogni materiali della propria vita ma il suo scopo di vita, di cui il soggetto è ora mera funzione.
Liberalismo e potere governamentale sulla scia di Michel Foucault
In questo intervento recensorio è possibile riportare in piccola parte tesi e temi trattati, ma i brevi accenni introdotti danno l’idea di quanto questa ricerca porti elementi utili e attuali per orientarci non solo in quanto soggetti economici ma persone continuamente sollecitate a prendere decisioni politiche sui modi di intendere la funzione e il potere dell’economia nella società. A quest’ultimo aspetto – processi di soggettivazione ed economia alla luce delle società neoliberali, che ha Foucault come riferimento – il libro dedica la sua sezione finale.
Il liberalismo, come è noto, è quel modello politico che tende a limitare al massimo l’interventismo dello Stato nel governare la società preferendo lasciare autonomia agli individui che operano liberamente attraverso il mercato. È proprio l’imporsi dell’economia politica nel XVIII secolo ad avviare l’affermazione storica del liberalismo, “la legittimazione dell’economia come sfera autonoma dell’attività umana appare… intrinsecamente legata alla valorizzazione e al riconoscimento della soggettività in quanto elemento irriducibile al controllo del potere sovrano” (p. 153).
Per Foucault tuttavia la razionalità politica propagata dal neoliberalismo si rivela illiberale in quanto pronta a valorizzare solo “ciò che ha valore secondo le regole del gioco del mercato” (p. 151) piuttosto che ciò a cui le persone stesse danno valore. Inoltre evidenzia il fatto che la soggettivazione utilitaristica alimentante le attività economiche produce effetti imprevedibili e ambigui stimolando desideri di soggettivazioni non controllabili. Egli troverà quindi interessante riflettere sull’economia liberale, e dunque sul mondo contemporaneo, proprio alla luce dello “snodo problematico” tra l’uomo economico – la soggettività costituita – e l’uomo desiderante – la soggettività costituente – oppure tra il governo degli altri e quello di se stessi, così come, più in generale, sul potere governamentale, in cui ricadrà il tema del controllo, da parte del potere, di quelle soggettività viste come istanze critiche.
L’arte di governo liberale dovrebbe assicurare il soggetto di essere meno governato da un’istanza di potere esterna come la ragione di Stato ma, come evidenziano gli autori, alla fine le persone rimangono ugualmente assoggettate dall’interesse economico in gioco nella logica di mercato.
È questo un tipo di potere sulla vita pervasivo e strutturante che “si propone di governare gli uomini non soltanto facendo leva sui loro interessi materiali (istituendo ovunque mercati e quasi-mercati, incentivando performance di produttività ed esercizi di valutazione premiale, promuovendo la concorrenza a tutti i livelli, organizzando competizioni per la distribuzione di risorse scarse, allestendo una gestione privatistica di risorse e servizi pubblici), ma giungendo perfino ad articolare la loro stessa verità soggettiva nella forma univoca della competizione e dell’interesse individuale. È’ un potere che pretende di intercettare la verità della natura umana, e che si autocomprende esso stesso come parte di quella verità” (p. 159).
In tutto ciò viene notato quanto sia paradossale pensare a questi modelli socio-politici come “naturali” – e non invece interessate costruzioni socio-culturali abili a intercettare bisogni latenti – visto l’impegno da parte dei relativi apparati a generare continuamente meccanismi e dispositivi che impongono prestazioni, misure, condotte per mantenere “vivo e operante lo stimolo della competizione e della coazione autoritaria alla libertà, sempre che si possa ancora parlare di libertà quando essa sia l’effetto di una coazione” (p. 166).
In effetti, come ci suggeriscono gli autori, vi è in generale una difficoltà estrema ad elaborare un modello del comportamento umano capace di ridurre la sua intrinseca complessità e imprevedibilità. “La novità comportata con l’affermazione dell’homo oeconomicus come paradigma antropologico assoluto e universale è data dal fatto che la motivazione egoistica ha finito per essere concepita quale unica motivazione plausibile dell’agire, e di conseguenza anche l’intera società è stata modellata a sua immagine e somiglianza… in questo modo, si è potuto produrre un modello di uomo prevedibile, intellegibile e soprattutto governabile e manipolabile” (p. 187, 188).
Riferimenti
Bevilaqua, E., Borrelli, D., 2021, Gemelli diversi. Processi di soggettivazione ed economia di mercato, Roma, DeriveApprodi.