Socialità dell’IT e luoghi comuni
Un po’ prima dell’inizio di questa estate è accaduto un evento curioso intorno al telefono più famoso al mondo, o meglio, alla sua ultima versione. Il celeberrimo iPhone versione 4 della Apple è stato presentato dal capo azienda Steve Jobs a giugno del 2010.
Come al solito l’esibizione è stata molto seguita anche se, questa volta, screziata da alcuni inconvenienti. Già durante l’appuntamento, presenti in sala un folto gruppo di giornalisti collegati online con le rispettive testate o direttamente ai loro blog, si sono verificate delle situazioni mediaticamente spiacevoli. Essendo un telefono-computer la dimostrazione verteva per lo più sulle caratteristiche di scambio dati e sul funzionamento di applicazioni complesse che richiedevano una buona capacità di connessione rete. Invece, i canali wi-fi erano così intasati che Jobs, per andare avanti, ha chiesto cortesemente (scusandosi) ai presenti in sala di evitare di connettersi. Si sa, le demo sono sempre a forte rischio di figuraccia ma nel caso dell’iPhone 4 il problema più rilevante si è manifestato a presentazione conclusa.
La sorpresa mancina
Circa un mese più tardi, alcuni utenti, soprattutto mancini, iniziano a denunciare la perdita improvvisa del contatto vocale mentre si sta conversando. Immediatamente, è questo il rischio di essere famosi e invidiati, scoppia il cosiddetto “antenna-gate”.
In effetti, la Apple ammette di aver riscontrato che il problema può verificarsi quando si stringe l’iPhone con la mano sinistra. La presa potrebbe attenuare il segnale dell’antenna radio gsm/umts collocata internamente proprio nell’angolo sinistre del case.
L’ammissione di colpa non deve essere stata pienamente ragionata se, successivamente, si arriva a minimizzare il difetto estendendolo a quasi tutti gli smart-phone in circolazione. Avvertendo inoltre come l’utente non debba basarsi sull’indicazione di campo mostrata sul display poiché il software che calcola e visualizza la quantità di segnale radio disponibile tende a dare un’indicazione esagerata del livello mentre, effettivamente, il segnale è più debole.
In verità, il software viene rapidamente corretto e aggiornato cosicché torna a indicare il reale livello di “tacche”. Agli utenti viene anche fornita gratuitamente una protezione di gomma (bumper case) che isola il contatto della mano con la parte metallica. In ogni caso, qualcuno continua a lamentare difetti di caduta delle chiamate, anche se in percentuali fisiologiche, e rimane difficile capire quanto sia merito del telefono o delle reti degli operatori che forniscono i servizi di rete. Rimane comunque il fatto che da un “telefono” di questa caratura ci si aspetta sempre molto.
È chiaro allora che la Apple non ci sta a passare come azienda che non effettua controlli preventivi o che trascura le interfacce per determinate categorie di utenti, che è poi uno dei suoi punti di forza. Il 16 luglio lo stesso Steve Jobs organizza una conferenza stampa in cui fa il resoconto dei test, e una intera sezione del sito Apple è dedicato all’argomento, finendo anche per invitare i giornalisti a effettuare un giro nei laboratori aziendali.
Non solo, ma si dilunga in una dettagliata comparazione illustrando come lo stesso difetto sia presente negli smart-phone degli avversari. Da quel momento si innesca una polemica di fuoco, ma anche ironica, tra i diversi player manufatturieri. Nokia dedica un’intera pagina web a illustrare scherzosamente come impugnare il cellulare, affermando che il loro telefono può essere preso anche con la mano sinistra…..
La strategia comunicativa di attacco appare abbastanza netta. Le persone devono sapere che alcune aziende, quelle di più lungo corso, hanno ben chiaro il concetto che il dispositivo è innanzitutto un telefono. Una volta assicurati che risponda bene a tale funzionalità fondamentale, è possibile estenderne il funzionamento verso le altre applicazioni più sofisticate.Le ultime arrivate, come dovrebbe essere dimostrato, hanno invece un’idea del tutto speculare. Le vendite dell’iPhone pare non abbiano risentito delle polemiche, anche se il problema continua a essere lamentato (The iPhone is a great device, but still a lousy phone).
Oltre la chiamata?
In generale, se si segue il mercato, si hanno le prove di come gli utenti siano effettivamente ammaliati dalle possibilità che, oltre alle telefonate, un dispositivo mobile può assicurare . Per tale ragione gli smart-phone divengono ambiti e le loro vendite sono in continua crescita.
I possessori li utilizzano sempre di più per prolungare le abitudini di comunicazione e navigazione che esperiscono con altri strumenti, e gli stessi content provider confermano il forte impulso che gli apparati mobili stanno dando ai consumi mediali. Tra le varie tipologie di applicazioni pare piacciano quelle relative al clima atmosferico, un fatto non nuovo ma forse ora ancora più urgente visto la sua imprevedibilità crescente legata al livello di molestia a cui abbiamo e stiamo sottoponendo il pianeta. Utilizzatissime risultano poi anche le applicazioni di social network (Is It Time for Content Providers to Dump Feature Phones?).
A questo punto, ogni player del settore ICT vuole o sogna una strategia tesa a creare un sistema in cui la creatività degli sviluppatori di software si sposi con la disponibilità dei dispositivi mobili ad accogliere direttamente le applicazioni per offrire funzionalità che sappiano coniugarsi positivamente con la mobilità.
Non tutti riescono però a giocarvi un ruolo primario. Come le vicende Nokia e, per altri versi, Microsoft dimostrano, i modi tradizionali di operare in tali filiere industriali vanno in crisi una volta che entra in campo la creatività e la capacità di creare e controllare i vari ecosistemi (hardware, sistemi operativi, linguaggi software) necessari ad aiutare le fasi di costruzione e distribuzione del software.
Il caso antennagate è altresì interessante per riflettere sui nuovi modi di comunicare via telefono perché nello stesso periodo ci si imbatte al riguardo in alcune riflessioni sulla “morte della telefonata”.
Ad esempio, Clive Thompson, scrittore del «New York Magazine» e di «Wired», si chiede proprio come stia cambiando il modo di tele-relazionarci. Egli confronta le sue abitudini con quelle rilevate da una ricerca Nielsen, da cui si evince che il numero medio di chiamate telefoniche tramite il cellulare si sta riducendo significativamente dopo il picco raggiunto nel 2007. Lo stesso vale per la loro durata: i tre minuti medi del 2005 si sono ora dimezzati. La riflessione cui si abbandona Thompson è ragionevole e, per quanto riguarda il futuro, sensata.
Ragionevole nella parte in cui spiega le numerose forme di alternative che ormai gli utenti, in particolare i più giovani o i più digitalizzati, hanno a disposizione. Messaggi sms, chat e social network, innanzitutto, un armamentario che ha il pregio di rispettare i tempi di fruizione del ricevente, nonché il suo grado di impegno. Allo stesso tempo, aiutati dai nostri dispositivi computerizzati riusciamo sempre più spesso a saturare gli spazi liberi. Insomma, siamo sempre nel “busyness”.
La possibilità di comunicare a distanza il nostro status, impostandolo velocemente sulla piattaforma software che stiamo usando, acquista allora una notevole valenza nella gestione delle relazioni telematiche. Da ciò un invito qui ad espande la funzionalità anche al canale fonico, così che la propria disponibilità a ricevere telefonate sia pubblica.
Detto tra noi, le compagnie telefoniche hanno già implementato protocolli comuni per questo servizio, che chiamano “presence”, ma, al momento, anche per le difficoltà di renderlo disponibile in tutta la filiera e gli apparati coinvolti nelle chiamate, esso non è disponibile. In ogni caso, l’avanzamento della telefonia IP è portatrice di questo tipo di funzionalità in client applicativi tipo Skype, e, ancora di più, tipo Google Voice, in cui si amplificano al massimo le possibilità di ibridazione di linguaggi scritti e vocali, così come la gestione/trasduzione sui canali al momento preferiti.
In definitiva, tutto ciò testimonia una maggiore possibilità di attenzione verso l’altro. Scrive un giornalista dell’hi-tech: «dal momento che gli altri sono così impegnati nelle proprie cose, finisco di comunicare attraverso la messaggistica testuale (e viceversa), e solo in casi rari telefono. I messaggi di testo attirano la loro attenzione e ottengo una risposta veloce. Invece, quando chiamo telefonicamente essi sanno che è abbastanza importante da rispondere alla mia chiamata».
Tutto ciò, tornando al caso antennagate, non giustifica dunque una minore attenzione al lato vocale dello smart-phone. Il fatto di usare di meno il servizio telefonico accade in una situazione in cui si presume che si è “sempre” nella facoltà di effettuare e ricevere chiamate. Esse diventano rare, ma in un contesto che assicura sia alternative più valide nel relazionarsi all’altro, sia la continuità del rapporto di scambio (effettivo o potenziale) via voce. Inoltre, la rarità le rende anche più pregiate: ne arriveranno relativamente poche ma avranno certamente un contenuto speciale. Non essere sicuri e rimanere nel dubbio circa lo stato di connessione non è dunque ben accetto.
La parte del ragionamento proiettiva di Thompson riconosce proprio la qualità superiore della relazione vocale che, a questo punto, liberata dai compiti di raccordo più banali, può essere spesa al meglio. «In realtà, prevedo che questa specie di coordinamento ibrido evolva e produrrà una forte tendenza circa il modo in cui usiamo le chiamate vocali. Rimarranno limitate in numero via via che il tempo una volta a loro dedicato emigra verso altri media. Ma le chiamate saranno più lunghe e saranno riservate a quella specie di discussione profonde che il medium sa fare meglio» (2010).
Sulla densità corporea che la voce riesce a restituire alla relazione tele-fonica si è detto tanto, anche in questa sede. La voce, veramente, è uno dei fenomeni con cui misuriamo molte espressioni culturali della nostra vita sociale.
Ultimamente, leggendo un bel libro in cui si intervistano alcuni musicisti sulle loro abitudini di ascolto musicale – Ben Ratliff, Come si ascolta il jazz, Roma, Minum Fax, 2010 – il grande chitarrista Pat Metheny commentando un’esecuzione del pianista Glen Gould, afferma: «Gould è capace di evocare una qualità quasi lirica, vocale, canora da uno strumento in cui non entra in gioco il respiro. Ora, qualunque strumento uno suoni, una delle cose più difficili è riuscire a comunicare il senso del respiro. Certo, ci sono molti pianisti, jazz e classici, che ci riescono magnificamente. E lo stesso si può dire di certi batteristi o vibrafonisti. Abbiamo tutti la stessa missione, in fondo: cercare di comunicare con frasi che risulterebbero credibili se qualcuno le cantasse» (p. 42).
Dunque, la musica acquisterebbe più valore comunicativo quando riesce a ripassare attraverso il nostro circuito vocale, avviando probabilmente un rinforzo appropriativo della melodia attraverso la “domesticazione” corporea – approfondimenti sulle qualità e il senso della voce in termini culturali e sociali rimandiamo senz’altro a John Durham Peters (2007) e Steven Connor (2007).
IT e pregiudizi
Non sempre gli sviluppi e le sofisticazioni delle forme di comunicazione mediata sono apprezzate e vagliate con la benevolenza necessaria a vincere gli immancabili pregiudizi. Spesso troviamo considerazioni veramente bizzarre in persone valenti. In una recente intervista lo psicanalista Luigi Zoja, che ha scritto un libro critico sulla ristrutturazione nella spazio e nel tempo delle relazioni di prossimità, afferma che «social network e Skype aumentano quantitativamente i rapporti ma privano la sensorialità» (2010).
La considerazione è del tutto riduttiva. A parte il fatto che si mischiano categorie di apparati eterogenee, si è almeno provato a utilizzarli? Stare al telefono (cuffia), ma di più, in una stanza in cui è attiva una conversazione Skype con gli altoparlanti in funzione, magari con buona qualità di amplificazione e contemporaneamente con più persone, è un’esperienza in cui il coinvolgimento è sicuramente tattile e vibrante! Non è per niente una «presenza fredda, poco emozionante», per non parlare poi della critica sull’astrazione (ivi). Ma cosa vi è di più astratto della scrittura «fissa e morta», come ci ammoniva Socrate, che invece sembra per i tanti critici la nostra pelle più naturale?
A volte, forse, sarebbe meglio chiedere direttamente agli utilizzatori, un compito che fortunatamente qualcuno ha modo di prendersi in carico. Sugli effetti del computer per le nostre vite, e ormai computer significa anche e soprattutto connessione e comunicazione, circolano teorie che, per diffusione, sembrerebbero mettere d’accordo la maggior parte delle persone. Particolarmente supportate dai media, queste visioni danno per scontato che gli impatti dell’Information Technology sulla produttività e sulle possibilità di guadagnare siano positivi ma che, allo stesso tempo, si affermano a costo della qualità di vita.
L’«Information dividend»
Ebbene, per verificarne l’attendibilità un rinomato istituto di ricerca sociale inglese, BCS, The Chartered Institute for IT, ha commissionato uno studio di ampia portata (2010). Prima di riassumere le scoperte proviamo a spiegare la metodologia utilizzata.
Intanto, la ricerca ha fatto uso del World Values Survey (WVS), una fonte internazionale riconosciuta per misurare indici sul benessere, valori sociali, comportamentali e culturali che prende in considerazione ogni anno un campione di persone (35.000) distribuito in tutto il mondo. Nonostante la difficoltà a metterli in relazione, sono stati costruiti indici associati all’uso delle tecnologie IT, poi segmentati per reddito, sesso, istruzione, ecc.
Un’altra fonte delle analisi è stata il British Household Panel Survey (BHPS), un panel che si effettua annualmente in Inghilterra fin dal 1992. Esso coinvolge un campione rappresentativo di 5.000 residenze inglesi riguardante 10.000 individui di cui si tracciano attitudini e comportamenti. Organizzato dalla University of Essex, esso è considerato uno dei migliori panel longitudinali a livello internazionale.
A queste due ricerche sono state infine affiancate interviste telefoniche effettuate su un campione rappresentativo di inglesi adulti (più di 18 anni), circa 1.000 unità, e interviste qualitative su focus group.
Passiamo allora ai risultati. La ricerca ha scoperto che l’assunzione di un trade-off tra benefici e peggioramento della qualità di vita è sbagliata. Invece, i dati evidenziano che l’Information Technology ha un impatto positivo sul livello di soddisfazione individuale, anche quando controllato rispetto a fattori come il reddito e altri elementi ritenuti importanti nel determinare il benessere.
Se è vero che lo sviluppo economico, spesso misurato dal prodotto interno lordo, è fortemente legato ad alti livelli del benessere auto-recepito, è altrettanto vero che «i fattori economici sono solo una parte della storia», e anzi possono rivelarsi anche come i meno determinanti. Le analisi suggeriscono che la religione, la tolleranza dei gruppi più esterni e il livello di democrazia delle società sono fattori che incidono altrettanto fortemente per produrre buoni livelli di SWB (Self-reported Well-Being).
La ricerca indica che l’accesso ai mezzi tecnologici dell’ICT e il loro uso possono essere aggiunti alla lista di fattori che influiscono positivamente. Oltre a un impatto diretto, essi hanno anche il potenziale di «interagire positivamente con altri fattori (quale “un senso di libertà e controllo”) che incidono ancora maggiormente sul SWB».
Se scendiamo nel dettaglio si nota come siano le persone o i gruppi che detengono meno potere a riscontrare i benefici maggiori, ovvero persone con bassi livelli di reddito o con meno livello di istruzione formale. Oppure, le donne in generale. Per esse l’accesso e l’uso delle tecnologie si rivela molto più benefico rispetto agli uomini, in particolare nelle nazioni considerate in via di sviluppo. «Una ragione per ciò potrebbe essere che in molte parti dell’Africa, Asia e Medio Oriente le donne hanno ruoli socialmente controllati che possono portare a una bassa sensazione di libertà e autonomia e dunque benessere».
I maggiori incrementi di benessere percepito sono comunque registrati nelle persone che si ritrovano nel nuovo stato di connessione in Rete: «ritrovarsi online comporta un miglioramento nella qualità di vita, al di là del genere a cui appartiene l’utente internet». I nuovi utenti (meno di due anni) sono molto interessati agli usi sociali e utilizzano maggiormente social network e instant messaging. Quelli che hanno una maggiore esperienza aggiungono di dare una più grande importanza a e-mail e shopping online, ma ciò potrebbe essere una conseguenza della relativa novità dei social network.
L’abitudine all’uso di queste tecnologie non abbassa il livello di soddisfazione mentre, invece, è percepito molto negativamente il loro possibile restringimento. Insomma, l’incremento di benessere per le donne e i nuovi utenti della rete evidenzia il ruolo sociale dell’Information Technology un fatto che sfida radicalmente gli stereotipi dell’utente solitario e dell’isolamento sociale. «Piuttosto, questa ricerca rivela che molte persone beneficiano di contatti sociali addizionali con la famiglia e gli amici …. il più grande contributo positivo che l’IT rende alle loro vite».
La ricerca chiude con la speranza di aprire delle ulteriori discussioni. La prima dovrebbe riguardare l’accelerazione delle politiche dell’accesso alla Rete e ai mezzi di interazione per i suoi impatti positivi sulle aree più svantaggiate della società, benefici che sono certamente economici ma soprattutto sociali.
Altri temi sono il potenziamento degli usi attraverso l’educazione o la progettazione e innovazione IT focalizzata sul miglioramento della qualità di vita. Un aspetto invece da contrastare in via di principio dovrebbe riguardare la tecnofobia, che rimane una barriera alla prova e all’uso delle tecnologie IT. «Ci si dovrebbe impegnare in una descrizione appropriata degli utilizzi IT, in particolare del social networking e degli altri aspetti sociali, così spesso soggetti ad attacchi denigratori nei media e nell’ambito dell’arena politica».
In ultimo, la dimostrazione di quanto alcune categorie di persone traggano vantaggio in termini sociali dall’ICT, primariamente le donne, dovrebbe stimolare i policy maker nel coinvolgerle maggiormente in progetti e politiche che servano a vincere timidezze e ostacoli sociali/culturali per impegnarsi nel versante tecnologico, un impulso che potrebbe aiutare a colmare il superamento del digital divide.
Bibliografia
Apple’s Antenna design and test labs, «Apple.com»
Apple 16 July event, «Youtube.com»
BCS, 2010, The Information Dividend: Why IT makes you ‘happier‘, settembre
Ben Ratliff, Come si ascolta il jazz, Roma, Minum Fax, 2010
Clive Thompson on the Death of the Phone Call, «Wired.com», 28/7/2010
Connor, S., 2007, La voce come medium. Storia culturale del ventriloquio, Roma, Sossella
How do you hold your Nokia?, «Nokia Conversetion. The Official Nokia Blog», 28/6/2010
iPhone4, primo passo falso di Jobs, «La Stampa», 27/6/2010
Is It Time for Content Providers to Dump Feature Phones?, «Gigaom.com», 04/10/2010
Nokia, RIM, HTC, Samsung and Motorola: Shut Up, Apple, «AllThings Digital», 19/7/2010
Peters, J. D., 2005, “La voce e i media moderni”, in Petullà, L., Borrelli, D., Il videofonino. Genesi e orizzonti del telefono con le immagini, Roma, Meltemi.
The iPhone is a great device, but still a lousy phone, «Infoworld.com», 27/8/2010
Why We Never Talk Anymore, «Gigaom.com», 24/08/2010
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