Con/testi di integrazione al marketing
In questo ultimo periodo mi sto dedicando ad approfondire il tema del marketing digitale nella speranza di riuscire a organizzare una pubblicazione agile che ne spieghi gli aspetti essenziali. In attesa della chiusura del lavoro voglio anticipare alcune osservazioni introduttive sul tema che hanno avuto per sfondo le problematiche più generali del marketing. L’introduzione sarà rilasciata in 2 parti.
Dagli anni Novanta del XX secolo le persone sono venute in contatto, in maniera sempre più coinvolgente, con nuovi modi di comunicare, socializzare, informarsi e agire intermediando tali attività con dispositivi personali computerizzati interconnessi a reti digitali presenti in ogni zona abitata del mondo. L’adozione e diffusione sociale delle pratiche digitali, native ormai per le ultime generazioni ma fatte proprie in varie forme dagli adulti di ogni età, ha pervaso ogni sorta di attività, interessando, tra l’altro, anche i modi di fare e gestire imprese, oltre alle abitudini e azioni relative al consumo. In questi settori il digitale è stato un fattore propulsivo di novità quando adottato dai primi innovatori (early adapter) che ne hanno saputo sfruttare le potenzialità, e tutto fa pensare che, seguendo il ciclo di adozione delle innovazioni formulato da Rogers, siamo ormai all’ultimo miglio per vedere concluso l’accodamento generale.
Il compito che ci siamo dati in questo lavoro è quello di introdurre, in una maniera contestualizzata ma aperta alla specificità dei temi, ciò che ancora appare essere un’opzione, ovvero le ragioni e tecniche di approccio, nel marketing, al marketing digitale. I maggiori problemi che riscontriamo sull’argomento sono la frammentazione dei temi e l’eccessivo nuovismo, per la verità entrambi giustificati sia dalla necessità di comprendere in profondità le articolazioni tecniche di queste nuove forme di intermediazione, sia dall’urgenza delle loro dinamiche, sottomesse ai costanti e veloci cambiamenti dettati da sviluppi che avvengono in parallelo ovunque nel mondo. E tuttavia, alla luce della storia del marketing, ci si accorge che questa fase, così pregna di strappi su base tecnologica, non è poi così originale e recuperarne una prospettiva può essere di aiuto per gestire una transizione in cui, in fondo, ritornano (riformulate) questioni su come “gli esseri umani affrontano nuove idee, aderiscono e costruiscono comunità, consumano informazioni e stabiliscono relazioni con i brand (Cook, 2017)”.
In termini generali si può affermare che il compito del marketing è favorire e realizzare, in un ciclo continuo, l’incontro tra offerta e domanda di beni e servizi in contesti economici in cui vi è libertà di impresa. Più tali contesti sono aperti e dinamici, più il marketing (marketing strategico) assume una valenza determinante nell’analisi e definizione di come un prodotto o servizio possa, in una fase ideativa di start-up, inseririsi efficacemente in un mercato o, nel caso di un esercizio già esistente (marketing operativo), continuare a garantire la redditività d’impresa. In verità, più si è inseriti in mercati globali in cui vi è un rilevante tasso di innovazione, sia di prodotto che di processo, e più i compiti di un buon marketing oscillano inevitabilmente tra i poli strategici e operativi.
L’accezione strategico e operativo data al marketing caratterizza due fasi diverse di un lavoro che però, complessivamente, deve tenere conto di una stessa serie di condizioni e fattori il cui approfondimento e peso variano in relazione allo stadio in cui si sta intervenendo, problematiche comunque riconducenti a temi che, riassunti nel famoso acronimo del marketing mix (4P: Prodotto, Prezzo, Place, Promotion), sono costantemente nel mirino della sua azione.
Se l’importanza del marketing è cresciuta in forza della difficoltà a prevedere e governare gli elementi che devono rendere un’impresa economica sostenibile in relazione ai prodotti e servizi che offre, non vi è dubbio che il successo sociale delle tecnologiche digitali in termini di informazione, comunicazione e relazionalità è un fattore che merita attenzione per le forme della sua articolazione e la difficoltà a seguirne lo spettro in termini di implicazioni ed evoluzioni. L’aggettivazione digitale data al marketing sembra infatti designare dei contesti che possono essere, allo stesso tempo, sia di portata limitata che esageratamente ampia per lo stesso modo di concepirne in generale teorie e pratiche.
In effetti, da una parte vi è la tendenza a sottolineare l’aspetto digitale soprattutto come una nuova estensione dei canali di contatto tra le esigenze della produzione e del consumo – e in tal senso, vi è la necessità di ampliare le metodologie del marketing così come già avvenuto per tutte le altre innovazioni comunicative (posta, giornali, riviste, radio, televisione) susseguitesi dall’Ottocento in avanti. Da questo punto di vista il compito del marketing, creare relazioni proficue tra persone/organizzazioni che producono e vendono e persone/organizzazioni che acquistano, sembra in continuità con origini e pratiche consolidate.
Un altro punto di vista, al contrario, ritiene giusto enfatizzare il fattore digitale come costituente di una svolta radicale e rifondativa nel settore data la sua pervasività nei processi e nelle pratiche della produzione, vendita e consumo, oltre che nella comunicazione e informazione, ovvero dei mezzi con cui si coordinano azioni, si stimolano desideri e si formano opinioni un po’ su tutto. Scorrendo la feconda pubblicistica del settore è facile trovare esempi dei diversi approcci, ognuno dei quali denota dei propri vantaggi ma anche, inevitabilmente, dei limiti. Se l’approccio evoluzionista riesce a non sguarnire la complessità delle analisi rispetto alle verticalizzazioni specifiche ma più semplicistiche degli approcci radicali, quest’ultimi si rendono invece subito utili nell’indirizzare pratiche urgenti che richiedono approfondimenti e dedizione continua per il poderoso ritmo dei cambiamenti a cui sono sottoposte dalla presa delle tecniche digitali, di cui sono ormai pregni ì mondi delle attività personali e gli ambienti della nostra quotidianità.
Nell’elaborato che seguirà terremo conto delle nuove urgenze provando a contestualizzarle in modo che possano essere valutate nella loro effettiva rilevanza sia in continuità che discontinuità rispetto alle tematiche consolidate nel marketing.
Evoluzione del Marketing
Le nuove tecnologie e applicazioni della rete sono l’ultimo frutto di un lungo processo di diffusione delle tecniche e dei dispositivi informatici applicati, a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, in quasi ogni ambito settoriale delle nostre società industrialmente sviluppate. Coincidentalmente, ma non tanto come vedremo, negli stessi anni Cinquanta prende formalmente piede, presso la General Electric, la filosofia del marketing concept, ovvero la concezione di marketing oggi a noi comune ma che al tempo era la più avanzata poiché
avrebbe introdotto l’attività di marketing all’inizio piuttosto che alla fine del ciclo produttivo, oltre che integrare il marketing in ogni fase del business (General Electric, 1952, p. 21).
Della forte associazione tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione e idee di marketing avanzate ha parlato brillantemente lo storico e sociologo americano James Beniger (1986), che ha dimostrato come il migliore supporto nel controllo dei cicli produttivi, distributivi e del consumo sia stato ottenuto proprio sulla scia di una reazione che, avviatasi nell’Ottocento, rispose ad una generalizzata crisi di controllo prodotta dai nuovi paradigmi della rivoluzione industriale, dando origine così alla nostra attuale società dell’informazione. Sulla base di questa teoria, le possibilità evolutive del marketing e la sua maggior focalizzazione nel tempo su parti parziali dei cicli possono essere viste rispetto ai limiti incontrati nella capacità di raccogliere, trattare e trasmettere appropriatamente le informazioni e i feedback necessari per un efficace controllo generale dei cicli produzione-consumo, fermo restando che qualunque ambizione in tal senso dovrà sempre fare i conti con la difficoltà di sondare appropriatamente la variabilità dei comportamenti umani e dei contesti sociali.
Normalmente nel raccontarne le evoluzioni si usa suddividere la storia del marketing moderno in un modello triadico in cui si passa dall’era della produzione/prodotto (il business deve concentrarsi sull’incremento dei volumi di prodotti ben fatti e a basso costo) all’epoca delle incentivazioni delle vendite (offerte aggressive, pubblicità e spinte promozionali) per finire con l’era del marketing (ovvero allo studio e pianificazione dei beni sulle esigenze e i desideri dei consumatori). Ovviamente, tale periodizzazione è da intendersi solo come orientamento generale in quanto in uno stesso periodo e addirittura in uno stesso ambito di impresa tutti gli orientamenti possono coesistere (Usui, 2008, p. 18). In effetti, anche quest’ultima considerazione ci rivela come il problema per il marketing non sia tanto cavalcare una tendenza ma poter controllare, e dunque orchestrare, gli elementi che in un determinato periodo rendono più convenienti ed efficaci determinate strategie, cosa che non è possibile ottenere senza avere in campo processi, tecniche di management e tecnologie appropriate. Seguendo alcune tracce sulla nascita e sulle difficoltà di dare forma a una scienza del marketing capace di valorizzare le migliori pratiche di management che già trovavano applicazione sul campo, lo storico giapponese Kazuo Usui ha constatato come le problematiche del marketing siano da sempre connaturate e poi derivate dalla necessità di gestire imprese e business riducendone l’incertezza e assicurando capacità di pianificazione:
l’idea di una gestione basata sul marketing nacque proprio dall’esperienza del fare impresa e applicata al fine di ottenere comportamenti routinizzati. In altre parole, il fare impresa è antecedente al marketing. Era l’imprenditore colui che prendeva decisioni di marketing basate su intuizioni, ispirazioni, iniziative, competenze ed esperienze. Dai resoconti utilizzati nel campo del knowledge management… la situazione è descritta nei termini per cui la conoscenza sul fare impresa basata sul martketing era, nei suoi primi stadi, “tacita” (p. 20).
Vi erano molte azioni del fare impresa in cui l’aiuto di un approccio orientato dall’idea di marketing poteva risultare decisivo come “lo sviluppo del mercato per un prodotto o l’ideazione di nuovi prodotti che incontrano o anticipano la domanda dei consumatori” (p. 20). Come è stato giustamente annotato
sia l’approccio imprenditoriale che le azioni orientate al marketing sono simili in natura in quanto cercano di travalicare confini, comportano una estesa interazione con l’ambiente, richiedono assunzione di rischio e incertezza, e, inevitabilmente, affrontano la complessità del comportamento umano con le attività commerciali e di altro genere (Hills et all, 1992, p. 17).
La sollecitazione a trovare principi di standardizzazione utili a orientare le scelte e la gestione di un’impresa era così sentita che la stessa filosofia del marketing concept – come detto, adottata e resa famosa dalla General Eletric nel 1950 – è stata teorizzata alcuni decenni prima, tanto che in quel periodo è possibile rintracciare tutta una serie di snodi concettuali tuttora attuali:
in ogni caso, il marketing si concentra attorno alle esigenze del consumatore. Ciò è un grande passaggio rispetto alla vecchia pratica di fare del produttore il punto focale di tutte le relazioni del business. Esso fornisce un obiettivo preciso basato sulla logica dei puri fatti piuttosto che sui desideri soggettivi dell’autocrate industriale… Il marketing scientifico è basato sulla teoria di scoprire ciò che il consumatore vuole e quindi garantirglielo… La produzione esiste per servire il consumo e non per altri scopi… Il consumo è primario, la produzione secondaria; tuttavia è raro trovare un business che affronti decisamente questo fatto e che produca beni sempre con una visione ai requisiti del consumo. Nel futuro tali requisiti dovranno essere soddisfatti dall’uomo di affari coscientemente ed efficacemente. “Di cosa ha bisogno il consumatore?”, sarà questa la questione da porre all’inizio di ogni problema di business (White, 1927, pp. 97-98, 99-100, in corsivo nell’originale).
Si diceva della difficoltà di formalizzare insegnamenti ripresi dal campo reale per farne da guida nella gestione delle stesse tipologie di business, una caratteristica che rimane sempre attuale, soprattutto nei momenti di grandi trasformazioni in cui le esperienze dirette impreditoriali si vedono costrette a esperire e reagire velocemente alle nuove condizioni operative. Riguardo al concetto di conoscenza tacita, il filosofo ed economista Michel Polany (1966, p. 4) afferma che “noi possiamo conoscere più di ciò che riusciamo a dire”. La conoscenza tacita è dunque definita come conoscenza umana che non è articolata ed espressa in un linguaggio, ma conoscenza incorporata in un’azione umana e nello specifico contesto circostante cosìcché la “conoscenza tacita” o “il modo di conoscere più di quello che riusciamo a dire” è “permanentemente presente” (indwell) nell’essere umano (pp. 17-18).
Insegnare il modo di prendere le decisioni a livello di marketing risultava dunque difficile senza un’opera di estrazione e sistematizzazione in un corpus organizzato di pratiche e teorie che avessero formulato ed esplicitato in maniera astratta e indiretta ciò che funzionava in campo in modo da agevolarne il trasferimento ad altre persone. Tra l’altro, i cambiamenti che andavano generandosi nel business a livello legale, politico, sociale o nelle preferenze dei consumi, così come nelle relazioni tra produttori e commercianti, rendevano sempre più urgente la formalizzazione di tali conoscenze con l’obiettivo di produrre un sapere esplicito che riuscisse a generalizzare e decontestualizzare le idee, estraendole dalla loro originaria condizione per renderle applicabili in altri ambiti come strumenti di supporto per la gestione delle imprese.
L’idea matura del marketing management vuole essere così bene generalizzata e abbastanza decontestualizzata da renderla applicabile a ogni attività di marketing per qualunque occasione e qualunque paese (Usai, 2008, p. 100).
Fu così che, nelle fasi più avanzate del capitalismo e sulla stregua dei concetti relativi alla “conoscenza tacita”, vi è stata una forte spinta a inserire dei corsi di studio nelle istituzioni educative al fine di sistematizzare le tecniche che sul campo incrementavano il successo imprenditoriale – tra la fine dell’Ottocento e le prime due decadi del Novecento vedremo nascere corsi focalizzati sul business sia negli Stati Uniti che in Europa e Giappone. Quest’opera di trasferimento da uno stato informale a quello formale ci dice molto delle difficoltà del marketing a organizzare strategie e azioni che possano eliminare del tutto l’incertezza data la natura cangiante e spesso contingente delle economie e delle società, che si sperimentano sempre prima nel continuo farsi del corpo vivo della vita quotidiana. Allo stesso tempo, un’opera di sistematizzazione teorica della materia poteva arricchire le armi dell’analisi introducendo altri saperi utili a leggere un contesto di azione che andava complessificandosi alla luce delle interazioni tra effetti locali e globali in termini economici, produttivi e finanziari. Nello stesso termine marketing, un verbo fatto parola, sembra esservi insito questo costante sforzo di ascolto e cattura degli elementi evolutivi che possono aiutare, trasformandosi in azioni, a indirizzare, pianificare o controllare le possibilità del commercio nei vari settori.
Per uscire da questa sorta di microfisica del controllo focalizzata solo sul marketing e mettere in una più congrua prospettiva l’enorme numero di innovazioni tecnologiche della rivoluzione digitale catapultate in questi ultimi anni, conviene richiamare le teorie di Beniger, che, concentrandosi sul periodo della rivoluzione industriale, parla di ricerca di controllo come aspetto insito dell’umanità. L’assunto centrale dell’autore è che l’industrializzazione produsse una vera e propria crisi di controllo in molte attività umane e sociali provocando come risposta una potente cascata di tecnologie che, intese in senso lato1, hanno avviato una rivoluzione del controllo, di cui le tecniche del marketing sono uno dei tanti tasselli.
Iniziata con una maggiore evidenza negli Stati Uniti verso la fine del XIX secolo, la rivoluzione del controllo rappresenta certamente un sensazionale se non repentino fattore di discontinuità nel progresso tecnologico. In verità il termine rivoluzione sembra a malapena sufficiente per descrivere la nascita, nell’arco di quella che avrebbe potuto essere la vita di un solo individuo, di tutte le principali tecnologie di comunicazione ancora utilizzate cent’anni più tardi: la fotografia e la telegrafia (1830-40), la stampa a rotativa (1840-50), la macchina da scrivere (1860-70), I cavi transoceanici (1866), il telefono (1876), il cinema (1894), la telegrafia senza fili (1895), la registrazione su nastro magnetico (1899), la radio (1906) e la televisione (1923). A fianco di questa rapida evoluzione dei mass media e delle tecnologie di comunicazione, la rivoluzione del controllo ha anche segnato l’inizio di una restaurazione … del controllo economico e politico su quegli ambiti periferici della società che, durante la rivoluzione industriale, vi si erano sottratti. Laddove un tempo le relazioni personali e le interazioni a faccia a faccia bastavano a garantire il controllo dei governi e dei mercati, ora sarebbe stato necessario ricorrere a organizzazioni burocratiche, a nuove infrastrutture di trasporto e telecomunicazione e (tramite i mass media) alle tecnologie di comunicazione globale Le nuove trasformazioni sociali (rapida innovazione nelle tecnologie di informazione e di controllo, al fine di riappropriarsi delle funzioni un tempo riservate a livelli inferiori e a porzioni assai ampie della società) rappresentavano dunque una vera rivoluzione del controllo sociale, in entrambi i sensi del termine (1986, p. 10).
Note
1 “Poiché l’elaborazione delle informazioni e la comunicazione sono ingredienti inseparabili della funzione di controllo, una società sarà tanto più in grado di esercitare il controllo… quanto maggiore sarà lo sviluppo delle sue tecnologie di informazione. In questo caso il termine tecnologia viene inteso non nel ruolo restrittivo in cui lo intendono la scienza pratica o applicata, ma nel senso più ampio di ogni deliberata estensione di un processo naturale, ovvero delle attività di elaborazione della materia, dell’energia e dell’informazione proprie di ogni sistema vivente” (Beniger, 1986, p. 11).