In un saggio sulla pubblicità scritto nel 1947 si riportano le considerazioni di un ufficiale americano che, di stanza in Italia in quegli anni, notando la presenza preponderante nella cartellonistica stradale dei temi politici invece che dei più classici argomenti della pubblicità dominanti invece nel paesaggio na
occuparsi poco di politica e nel pensare invece a come debellare il cattivo odore delle ascelle, la forfora, i peli superflui, la gracilità del fisico, l’aridità dei capelli, l’anemia mediterranea, il gomito del tennista, l’intestino pigro, per non parlare della carenza di ferro, della depressione, del senso cadente, della piorrea, dei pantaloni lisi, della canizie precoce e dell’eccesso di peso.
Marshall McLuhan, come sempre con grande generosità ed intuito, traeva spunto da queste osservazioni per iniziare un discorso sul linguaggio pubblicitario, della sua natura di indicatore dei piccoli eppure grandi problemi delle persone, come anche dei loro gusti e tendenze, e della sua funzione democratizzante e di specchio ironico della realtà.
Su quanto spazio la pubblicità si sia ricavata nella realtà non è il caso di soffermaci, così come sui rapporti incestuosi tra pubblicità e politica/politici, soprattutto, ironia della sorte, in Italia. Dal nostro punto di vista è interessante invece notare come la pubblicità, in quanto strumento di marketing, mantenga una forza che è resa ancora più evidente dall’agenda dei temi considerati dai messaggi del ’47, non solo rimasti tutti validi nel tempo, ma tendenti ad ampliarsi sconsideratamente grazie ai nuovi mezzi della comunicazione, come nota allarmato il giornalista Paolo Attivissimo.
La mia casella di e-mail, come la vostra, è un ricettacolo repellente di réclame di allungapiselli, proposte d’affari di dittatori africani in disgrazia, e soprattutto virus, virus, virus.
I nuovi canali comunicativi attirano dunque sia il marketing più o meno aggressivo, che i famigerati software distruttivi delle informazioni e delle stesse macchine informatiche, individuando nella capillarità e nella potenza della posta elettronica, in quanto dispositivo one-to-one, una forma efficace di contatto individuale.
L’accostamento dei due fenomeni in termini degenerativi è purtroppo centrato e per l’utente (il povero one) il sistema delle e-mail si trasforma spesso in una forma oppressiva many-to-one. In effetti il sistema e-mail è tra gli architravi di Internet e il suo successo è dovuto prevalentemente al fatto di essere una comunicazione punto-punto adattabile alle ragioni della sociabilità.
Tuttavia, pur essendo associato alla novità Internet, come estensione delle funzioni comunicative ed espressive della persona esso andrebbe considerato alla stessa stregua del telefono. Non è un caso, come vedremo per il problema dello spamming, che le policy riguardanti la privacy nei due medium si intreccino strettamente nell’attualità.
Ma partiamo dell’uso che si fa delle e-mail per “distribuire” virus. Il problema su questo fronte è serio ma, ha ragione Attivissimo, alimentato dalla sofisticazione tecnologica dei vari programmi di gestione della posta. I primi programmi erano semplici traghettatori di testi alfanumerici, stile sms; oggi tali programmi si prendono la briga di eseguire automaticamente le istruzioni riportate nella comunicazione o tramite gli allegati, una sofisticazione che abbassa drammaticamente le barriere difensive di un’utenza per la maggior parte poco avvezza alle diavolerie dei dispositivi informatici.
Insomma, l’attivazione delle prestazioni aggiuntive andrebbe fatta, di norma, a posteriori e consapevolmente. Tra l’altro, un tale approccio avrebbe il vantaggio di avviare una riflessione più critica delle funzioni in relazione alle nostre effettive esigenze, qualunque esse siano: leisure, lavoro o quant’altro. D’altronde, ricorda giustamente Attivissimo, gli anti-virus non potranno mai garantirci totalmente essendo per definizione sempre in ritardo nella loro azione preventiva.
Per lo spamming pubblicitario invece, dobbiamo affidarci a considerazioni di privacy. L’e-mail, come il telefono, è oramai un’estensione dello spazio privato e in tale ottica va preservata, soprattutto rispetto a quelle politiche di marketing – per la verità attuate spesso da entità con scarsa professionalità – aggressive e massive.
Ben vengano quindi le leggi di cui si discute attualmente un po’ ovunque nel mondo sia riguardo all’intrusività del marketing via e-mail che per telefono. Il telefono ha ovviamente una tradizione più consolidata sul tema, ma ciò non toglie che vi siano iniziative che intervengono a rafforzare comportamenti non in linea, ad esempio quella della Federal Trade Commission americana, che vuole istituire una lista di numeri telefonici di utenti (“do-not-call-list”) che non vogliono ricevere telefonate relative a campagne di marketing, lista a cui gli operatori del tele-marketing devono attenersi per evitare di includerli nelle loro iniziative.
Sul tema si è aperto un vivace dibattito in quanto i motivi di “abbordaggio” potrebbero essere diversi, ad esempio per fini politici o per la raccolta di fondi per scopi sociali, e dunque una prevenzione specifica potrebbe essere giudicata incostituzionale. Si deve dire, proprio per discriminare i veri professionisti del settore, che le maggiori associazioni di telemarketing hanno dichiarato di volersi comunque attenere alla volontà dell’utente. Altro esempio di iniziativa corrente è la direttiva emanata in Italia dal Garante della Privacy che obbliga i gestori dei telefonini e le imprese private ad inviare sms pubblicitari solo dopo aver ottenuto un consenso libero ed informato, e quindi esplicito sul tema, da parte dell’abbonato.
Di pari passo, anche gli interventi legislativi riguardanti lo spamming tramite e-mail diventano sempre più incisivi e pesanti nelle loro sanzioni. L’urgenza è una conseguenza del fatto che l’e-mail è un sistema di comunicazione di successo affermatosi anche a livello di strumento di lavoro, tanto da diventare il tool preferito (una recente indagine in Nord America lo indica al primo posto negli scambi lavorativi: 44% e-mail, 28% telefono, meeting faccia-a-faccia 15%).
Tuttavia, il sistema è duramente provato da tali fenomeni: la FTC ha stimato che lo spamming è fraudolento, fuorviante e ingannevole per il 70% dei casi. Gli stessi Internet Provider iniziano ad avere difficoltà a gestire la mole crescente dei messaggi che provoca fastidio agli utenti e dispendio di risorse informatiche. Uno degli interventi più decisi sul tema è stato ultimamente effettuato dal governatore della California.
Egli ha emanato una legge che punisce con ammende fino a 1000 dollari per ogni messaggio individuale inviato, e fino a un milione di dollari per ogni campagna pubblicitaria. L’intervento stabilisce l’adozione di un modello di opt-in, ovvero di ottenimento della preventiva disponibilità dell’utente – nel modello più soft dell’opt-out, invece, l’utente accetta l’invio ma ha facoltà di interrompere ogni futura iniziativa rispondendo in tal senso al messaggio della campagna.
In ogni caso, è chiaro che il funzionamento della rete Internet, che si estende su una scala globale, può rendere l’applicazione delle normative problematica ed inefficace: se non pensate per essere funzionanti in un ottica globale e con criteri omogenei esse riescono a sanzionare solo i comportamenti che nascono e finiscono nei singoli stati.
www.key4biz.it, dicembre 2003