Medium, mediazione e immediatezza
Nel momento in cui ci interroghiamo sulla condizione esistenziale a cui ci espongono le nuove forme di mediazione/immediatezza, che ci mettono nello stato di ampliare a dismisura situazioni, quantità di informazioni e contatti in qualche modo partecipati, abbiamo la possibilità di ritornare, zoomandoci sopra, sul lavoro a cui siamo sempre sottoposti dai modi di fare esperienza.
Un aspetto più generale della condizione odierna riguarda il fatto che, come persone, stiamo vivendo un approccio meno filtrato agli avvenimenti: chiamati spesso, già in prima istanza, a rispondere direttamente al mondo, meno mediati dalle classiche agenzie/istituzioni o gruppi di appartenenza — famiglia, scuola, lavoro, politica — quasi in dovere di avere subito un’idea e “postare” una risposta.
Tuttavia, se questo è l’aspetto macro, quando le potenti onde delle comunicazioni digitalizzate ci fanno fluttuare più velocemente tra l’immediato e il mediato, in tempi e spazi che abbandonano le rigide cesure diventando soffici e continui, vi è anche, per così dire, un problema più intimo, una questione di vera e propria “micro-fisica” della mediazione.
Se riprendiamo lo psicologo Gary Marcus, che parla dell’organismo umano in termini di “ingegneria approssimativa” (kluge) per descrivere l’opera rabberciata ma efficace che, nella storia evolutiva, ci ha “assemblati” per affrontare le nostre relazioni con l’esterno, diviene lecito interrogarci sul nuovo equilibrio a cui ci costringono i nuovi sistemi operativi dell’agire in rete (Wellman, 2012).
Alla luce dei fattori biologici e macchinici/informazionali, o meglio, di un’aumentata interpolazione delle due sfere visto la facilità/connaturalità con cui ci incorporiamo individualmente e socialmente con il medium digitale, quale è lo spettro di vincoli, processi di adattabilità, soglie, esigenze di sintesi — almeno così come finora conosciuti — di cui la nostra nuova configurazione dovrà tenere conto?
Cosa cambia con il nostro essere “im-mediati”? Di fronte alle articolate relazioni tra esperienza e forme della nostro “mettersi in comune”, avviluppati in nuove strutture di significato, materie quali la filosofia e la psicologia si sono spesso rivelate utili nel fornire spunti riflessivi permettendoci di recuperare una certa distanza prospettica e, allo stesso tempo, ritornare sulla sofisticatezza della macchina umana.
In verità, il tema ha per la comunicazione una sua propria fascinazione, come ben sa chi, anche nello studio della comunicazione digitale, apprezza l’attualità e originalità degli excursus nelle esperienze (shock) della modernità di due grandi intellettuali quali George Simmel (1858-1918) e Walter Benjamin (1892-1940).
Nei paraggi del mediato
Recentemente l’antropologo e giornalista Frank Rose (2011) ha notato intelligentemente come l’immersività mediale stia predisponendo un ambiente in cui si passa da logiche “command and control” a logiche di “sense and respond”, un cambiamento che sta interessando ogni ambito di attività umane per i risvolti che ciò comporta.
Il “sense and respond” si declina infatti — in termini di efficacia per i settori della produzione, consumo, marketing — come necessità di “ascoltare e rispondere”, ma anche come condizione di “sensibilità e risposta” tipica del nostro stato connettivo e interattivo, che influenza il modo in cui “ci” raccontiamo o veniamo a patti individualmente e socialmente con gli accadimenti della vita. Rose infine si intrattiene molto sui meccanismi ancestrali dello storytelling, del provare a dare “ordine” o “senso” ai flussi dell’esperienza, un tema che inevitabilmente torna anche in questo scritto.
Iniziamo dunque dall’esperienza. La parola ha una profonda valenza semantica. Significativamente, troviamo che
esperienza, come il greco εμπειρία, ha duplice significato, duplice e persino opposto: significa da una parte conoscenza immediata, dall’altro il processo di costituzione della conoscenza, e della sapienza!, ossia la stessa mediazione.
Non è solo questione di alta filosofia ma anche di senso comune visto che si pensa all’uomo di esperienza come a colui che, muovendosi nello spazio o nel tempo, vive e allo stesso tempo cristallizza esperienze:
è uomo passato per molte vicende, uomo che si è molto mosso: che ha, bensì, molto visto ma che di queste visioni ha contesto il tessuto della sua vita, così da passare dall’aspetto delle cose al loro sapore (sapientia). Uomo sperimentato è uomo “molto vissuto”. Il tedesco, con i due vocaboli di Erfahrung ed Erlebnis, ha esplicitato la distinzione (Bontadini 1996, p. 149).
Abbiamo dunque l’esperienza del vissuto (l’immediato) e l’esperienza dell’esperienza vissuta (il mediato).
Appare allora che i due significati non sono soltanto distinti e opposti, ma altresì intrecciati. Giacché si ha conoscenza immediata dello stesso processo onde s’intende trascendente l’immediato. Intreccio e circuminsessione del mediato e dell’immediato: l’avere esperienza della mediazione dell’esperienza (ibid.).
Per il filosofo Bontadini tutto ciò è come «legge di struttura» perché
nella comune nozione di esperienza l’intreccio della mediazione e dell’immediato si verifica per due versi: in quanto la mediazione è il processo di costituzione dell’immediato, ed in quanto è la protensione oltre l’immediato. In quanto l’esperienza è umanamente vissuta, l’Erfahrung sempre avvolta da un Erlebnis (e che sia tale lo sappiamo per esperienza o apprensione immediata!) l’uomo non è mai nella posizione di pura immediatezza, mai in una posizione di puro inizio, ma sempre “imbarcato”. È significativo che anche lessicalmente il termine primitivo sia quello di mediato, da cui immediato deriva per negazione. Gli è che già l’uomo primitivo, come poi l’uomo civile in tutti gli aspetti della sua civiltà, è sempre con il suo interesse al di là dell’immediato, anche se mantiene sempre un riferimento a questo. L’arte stessa, pur essendo celebrazione di ciò che è parvente, pretende di essere una sorta di scoperta dell’immediato, una rivelazione, quasi un richiamo alla forma sensibile, della quale l’uomo pratico non si accorge, perché distratto, chiamato oltre dalla sua preoccupazione economica o di sussistenza biologica. L’interesse artistico è una sorta di ritorno all’immediato, in guisa tale che questo, anziché come termine primitivo, viene trattato formalmente come uno scopo (ivi, p. 150).
Strutture del simbolico e flussi dell’esperire
Lo psicoterapeuta Vittorio Guidano ha ipotizzato che il lavoro dell’esperire si è complicato in parallelo con la complessificazione del mondo e con la necessità di trattare una mole più grande di dati, fatto che ha richiesto l’adozione di strumenti adeguati (2001).
Tra i sistemi di mediazione un posto fondamentale viene assunto dal linguaggio, che diventa un modo di ristrutturare la «esperienza immediata in termini di proposizioni» . È questa la via con cui svincoliamo l’esperienza immediata per consegnarla a categorizzazioni che consentono di valutare secondo altri criteri quali vero-falso, bello-brutto, illusione-percezione, giusto-sbagliato in un crescendo di sofisticazione concettuale che riorganizza in modo sensato il vissuto (ivi, p. 36).
Il linguaggio nasce, evolutivamente, come un sistema di classificazione e riclassificazione dei dati interni; è, cioè, un elemento che agisce sull’informazione dell’esperienza immediata e non direttamente sulla realtà.
Un aspetto interessante al riguardo è infatti la doppia funzione del linguaggio che agisce in maniera fattuale e tematica. Il linguaggio fattuale accompagna il nostro vissuto e, possiamo dire, può operare come un mero commento vocale senza aggiungere molto a livello di informazione, e ciò è comune ad altre specie animali.
La seconda caratteristica tipicamente umana è il linguaggio tematico, che è la capacità propria del linguaggio semantico di mettere in relazione e integrare un insieme di elementi esperienziali come un tema che, abbia un inizio, uno svolgimento e una conclusione» (ibid.).
È questa la capacità più grande del linguaggio umano
trasformare l’immediatezza dell’esperienza in informazione che si può mantenere indipendentemente dagli eventi che l’hanno prodotta.
Con la separazione del contenuto affettivo – il vissuto dell’immediatezza – da quello informativo possiamo tematizzare
un inizio, uno svolgimento e una fine, attraverso i quali possiamo ordinare i fatti che caratterizzano la nostra vita, che diventano così strutture informative stabili.
Ciò ci permette di creare, a fronte di una coscienza fattuale sempre in acquisizione e movimento, una coscienza tematica che diviene fondamentale per la nostra stabilità esistenziale, con cui ordiniamo
il contenuto informativo dell’esperienza in sequenza (inizio, svolgimento e fine); ciò viene definito come la struttura narrativa dell’esperienza umana. Da che nasce il linguaggio, questo si trasforma in qualcosa di irriducibile, e tutta l’esperienza umana è sempre una sequenza molto ordinata, con ordine cronologico, tematico e causale. Dalla struttura di questa sequenzializzazione dipende se un tema di significato si sviluppa in modo normale, nevrotico o psicotico» (ivi, p. 37).
Il linguaggio ci consegna così ad un ulteriore processo: tutta l’esperienza umana inizia a verificarsi su due livelli simultanei: un livello immediato e uno esplicativo.
Il livello esplicativo permette di ordinare in sequenze il vissuto immediato. In ognuno di noi c’è un livello di esperienza immediata che è un fluire continuo, del nostro essere nel mondo; è ciò che Humberto Maturana chiama “vivenzia” e ci accompagna in ogni momento, che ci pensi o no. In parallelo con questo, ciò che ci caratterizza come umani è il continuo spiegarci l’esperienza del vivere che troviamo già fatta….. L’aspetto importante è il continuo interscambio tra immediatezza dell’esperienza e la maniera in cui ordiniamo e spieghiamo la nostra sensazione di immediatezza; questa è la caratteristica peculiare dell’esperienza umana che fino al momento attuale nessun altro animale possiede. Il bisogno di darsi sempre ragione del fatto che uno esiste, veniva molto bene esplicitato da Ortega Y Gasset: “l’essere umano è l’unico animale che per esistere deve darsi delle ragioni della sua esistenza” (ivi, p. 38).
Da questo genere di meccanismo derivano alcune conseguenze importanti, ad esempio la necessaria gestione dei problemi che nascono in caso di discrepanze tra il fluire dell’esperienza immediata e l’immagine che la persona ha di sé.
La discrepanza è molto particolare, perché l’esperienza immediata è un fluire continuo che viene sempre prima della spiegazione; in ogni momento in cui ci rendiamo conto della nostra esperienza immediata e la filtriamo attraverso la nostra immagine cosciente, il nostro vissuto sta già un passo avanti. (ivi, p. 39).
Inoltre, dovendo sempre agire concretamente e in maniera efficiente, siamo costretti a filtrare momentaneamente l’esperienza “depotenziando”, almeno a livello “cosciente”, gli input al momento meno utili per cui nella specifica contingenza consideriamo solo su una parte dell’effettivo vissuto – ci accade spesso di rintracciare a posteriori altri elementi di un determinato evento.
Per i nostri fini è altrettanto interessante ciò che lo psicologo Guidano aggiunge per legare questi meccanismi ai livelli di vita intersoggettiva.
Bisogna aggiungere che in questa relazione tra esperienza immediata e immagine cosciente di sé, il regolatore principale dell’immagine cosciente di sé è l’autostima. Essere primati intersoggettivi implica che nessuno di noi possa arrivare a un livello di autostima troppo basso, dato che non ci permetterebbe di funzionare come persone. Poiché siamo primati intersoggettivi, dobbiamo sentirci in ogni momento idonei e ciò implica l’essere riconosciuti e stimati come legittimati come persone da parte degli altri, questo è il tema dell’autostima» (ibid.).
Vedersi non idonei è fonte di sofferenza, tanto da condurci spesso ad escludere
cose della nostra esperienza immediata che sono fondamentali, ma che se riconosciute e spiegate in modo cosciente comporterebbero un cambiamento drammatico della nostra immagine cosciente.
L’approccio razionalista tende a descrivere la nostra auto-riflessione come un processo oggettivo in cui possiamo vederci dal di fuori così come siamo. Invece
ogni processo di autocoscienza è un processo autoreferenziale, e il renderci conto e l’essere cosciente delle nostre azioni, implica appianare delle discrepanze» (ibid.).
Insomma, la nostra salute mentale prevede una certa dose di autoinganno per gestire in stabilità situazioni che possono presentarsi contraddittorie perché imprevedibili o anche generatrici di un eccessivo carico di flussi informativi. Le tecniche psicoterapeutiche nascono proprio per “svelare” e rendere criticamente “fluidi” questi comportamenti, per mantenere il meccanismo nei limiti atti ad assicurarci un rapporto corretto con le varie realtà, affettive ed effettuali, e dunque una vita vivibile in cui si ristabiliscono forme “equilibrate” di sequenzializzazione “tematica” nell’incedere dei flussi emozionali e informazionali.
Bibliografia
Bontadini, G., 1996, Dal problematicismo alla metafisica, Milano, Vita e pensiero
Guidano, V., 2007, Psicoterapia cognitiva post-razionalista. Una ricognizione della teoria alla clinica, Milano, Franco Angeli.
Marcus, G., 2008, Kluge. L’ingegneria approssimativa della mente umana, Torino, Codice.
Rose, F., 2011, The Art of Immersion, New York, W. W. Norton & Company
Wellman, B, 2012, Networked. The New Social Operating System, Chicago, MIT Press.