Il fascino comunicativo delle imprese del web
Nelle opere dell’immaginario, lo sappiamo, è facile trovare esempi di predizione indovinate sulle evoluzioni delle nostre vite in accordo a quelle delle tecnologie. Senza ricorrere alla tanta letteratura esistente su questo fenomeno, è sufficiente richiamare alcuni lavori prodotti dalla pubblicità, come ha ultimamente fatto un articolo di giornale riproponendo in allegato i filmati del 1993 in cui l’azienda telefonica statunitense AT&T spiegava i suoi progetti futuri – la campagna “You will” fu elaborata dal team creativo della N.W. Ayer & Partners, mentre gli spot furono girati dal talentuoso regista David Fincher.
Nei primi anni novanta del XX secolo internet era praticamente un fenomeno di nicchia, con un numero di utenti tra lo 0 e l’1% rispetto agli abitanti del mondo ma, evidentemente, soprattutto nell’area marketing delle aziende di telecomunicazioni, erano tante le potenzialità che un’intensa diffusione di tecnologie digitali intercomunicanti facevano intravedere a livello di applicazioni informative e comunicative.
Per inquadrare meglio il contesto ricordiamo che in ogni paese del mondo le aziende di telecomunicazioni avevano una posizione di rilievo avendo sviluppato la rete di telecomunicazioni in un regime di monopolio naturale al fine di supportare nelle loro comunità le esigenze di interazioni da lontano – in particolare, il loro servizio più importante e redditizio era in assoluto la telefonia per cui azienda di telecomunicazione e azienda o compagnia telefonica erano praticamente sinonimi.
In quel periodo dunque, forte della sua leadership nel settore, AT&T provò a lanciare la sua sfida ipertrofica promovendosi come prossima fornitrice di una serie di servizi altamente innovativi. Così, negli spot della campagna “You will” possiamo vedere come:
- pagare istantaneamente la spesa del carrello senza dover da esso estrarne le merci;
- curarsi con la telemedicina;
- interrogare un proprio assistente personale presente nel computer personale;
- guidare nel traffico assistiti da sistemi di navigazione che aggiornano continuamente i percorsi al modificarsi delle condizioni di traffico;
- organizzare e partecipare a riunioni in videoconferenze;
- utilizzare computer e tablet in mobilità inviando anche documenti;
- ricevere e fare chiamate dall’orologio da polso;
- collaborare audio-visivamente in real time con persone lontane, che parlano anche altre lingue, condividendo gli stessi documenti/testi;
- scegliere e ottenere un libro da leggere in remoto;
- pagare un pedaggio autostradale senza rallentare;
- guardare il film che si vuole, quando si vuole, sui propri dispositivi ;
- utilizzare servizi combinati di videoconferenza, riconoscimento vocale e software di traduzione;
- usufruire dell’automazione della casa comandandone a distanza le funzioni tramite un dispositivo con touchscreen e con comandi vocali;
- partecipare a sistemi di apprendimento a distanza.
Le promesse disattese
Le promesse di AT&T sono state veramente generose ma avevano – come notato da molti – un solo difetto, non essere arrivate a fornire al grande pubblico quasi nessuno dei servizi pubblicizzati – rimasti, al più, versioni prototipali nelle stanze chiuse dei loro laboratori.
ll problema non ha riguardato solo la AT&T, ma questa evidente incapacità – a circa 30 anni dagli annunci – di far diventare loro servizi le applicazioni e i device che oggi miliardi di persone utilizzano su internet, ha accomunato tutte le compagnie telefoniche del mondo.
Nonostante il tempo a disposizione e i capitali, questo tipo di aziende – come un po’ tutte quelle che fino a un certo momento sono gli attori assoluti di un determinato mercato, in questo caso quelle delle telecomunicazioni – non sono riuscite a cambiare la loro cultura organizzativa e industriale ed entrare più in sintonia con il nuovo spirito del tempo – ovvero, con l’incedere dei processi di liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione, e il relativo indebolimento dei privilegi monopolistici da esse detenuti, e con l’insorgere delle nuove dinamiche tecno-economiche e socio-culturali generate dal fenomeno internet.
Uno dei fattori a cui si imputa questo tipo di fallimento è la loro debole cultura del rischio insieme alla volontà di difendere la redditività presente – in genere basata su un controllo totale delle filiere produttive e commerciali nei loro settori – e il fatto che tutto il management, che dovrebbe riaggiornare la missione aziendale organizzando e indirizzando le risposte alle nuove sfide, risulti comunque legato a premialità su obiettivi a breve termine.
Sebbene inizi ad avanzare il timore che le innovazioni possibili vadano, in un orizzonte futuribile, a scalfire e spodestare il loro potere, ogni azione che sottragga già ora degli utili è vista come una minaccia economica molto più concreta – sicuramente a livello personale, ma in ciò si è confortati anche dai propri organi societari dato che l’andamento economico di un’azienda è ormai valutato dai mercati (investitori) alla fine di ogni singolo trimestre, con effetti immediati sulle performance azionarie.
Una conseguenza di questo atteggiamento strettamente difensivo è il rallentamento dei processi di adeguamento aziendale – revisione dei piani di marketing, ricerca e inserimento di nuovi skill professionali, rifocalizzazione della cultura aziendale, ricalibrazione dei sistemi di incentivazione in accordo ai nuovi obiettivi, ecc. – necessari ad affrontare un fenomeno così imponente quale la convergenza – in un mercato in via di de-regolamentazione – di prodotti e servizi creati dall’intersezione di industrie prima separate quali quelle del computing, Information Technology, telecomunicazioni (telco) e Media.
Il ridimensionamento comunicativo
Se nei primi anni Novanta l’AT&T si sente sicura nel promettere di portare lei stessa tali meraviglie tecnologiche – lo slogan ripetuto in ogni spot inizia con “Have you ever…” e finisce con ” … you will. And the company that will bring it to you: AT&T.” – le sue iniziative comunicative iniziano a diventare molto più prudenti negli anni successivi avendo sperimentato diverse difficoltà, tra cui il riuscire a competere – gravati da strutture aziendali estese, perlopiù plasmate dai business consolidati – con le neonate aziende del web, snelle e iper-reattive, e la ancora scarsa immaturità del mercato internet.
In effetti, negli anni seguenti, le loro campagne pubblicitarie rimarranno perlopiù focalizzate sui business che, pur in evoluzione, sono nella loro diretta sfera di influenza, vale a dire quelli legati alle infrastrutture di rete e quindi soprattutto i servizi di connettività alle reti dati di internet – anche le telco, in linea con il loro mestiere tradizionale, diventeranno, affiancando nuovi operatori, degli Internet Service Provider così da intercettare questo nuovo tipo di domanda.
Che cosa accade nel frattempo nell’industria della convergenza mediale? L’adozione del protocollo comune di rete (Internet Protocol, IP) da parte degli Internet Service Provider e delle telco – necessario a far partecipare e comunicare le persone desiderose di essere su internet – dà modo a nuove imprese di entrare nella catena del valore di una filiera prima interamente controllata e gestita dalle compagnie di telecomunicazione.
Internet, che raccoglie l’insieme delle reti funzionanti con il protocollo IP, è infatti una rete aperta e la sua funzione principale è quella di far fluire più velocemente possibile i pacchetti di dati IP, confezionati e trasmessi/ricevuti dalle applicazioni dei dispositivi che si trovano nei suoi end-point – dispositivi dietro a cui possono esserci normali utenti o fornitori di servizi.
La nuova catena del valore per i servizi tlc
Nella creazione di servizi – a monte, per così dire – le telco ora sono dunque affiancate da altri operatori e la stessa cosa accade a valle, sul fronte dei dispositivi dei clienti, essendo diventate delle piattaforme applicative IP pronte a fornire alle persone nuove user experience.
La vecchia catena del valore, dominata in ogni segmento dalle telco, ora si è spezzata frammentando a favore di molte altre imprese il lato a monte, quello della creazione dei servizi, così come quello a valle, nell’interfacciamento del cliente. Alle aziende di telecomunicazione rimane il dominio nel solo segmento dell’infrastrutture di rete, in cui comunque giocano ancora un ruolo fondamentale per il mantenimento e lo sviluppo delle reti di connettività locali e interregionali, nazionali e internazionali, sia fisse che mobili.
La detronizzazione delle telco dal business degli apparati telefonici
Un altro ridimensionamento per le telco avviene con l’introduzione, a livello commerciale di massa, degli smartphone la cui data viene fissata con il lancio dell’iPhone della Apple nel 2007. Fino a quel periodo le aziende telefoniche erano riuscite a controllare tale filiera – grazie allo specifico interfacciamento a livello dei protocolli telefonici tra centrali e apparati – intermediando i rapporti commerciali con le varie aziende che operano in questo segmento (produttori di sistemi operativi, proprietari dei contenuti, aggregatori di servizi a valore aggiunto, venditori di hardware).
Nel momento in cui il telefono mobile è spinto ad abbandonare le ristrettezze di servizi dati fondamentalmente legati agli sms e le linee broadband mobili iniziano a diventare una realtà con la terza generazione (3G) di telefonia mobile (UMTS) – che è in grado di far viaggiare con una certa velocità il protocollo IP – il telefono mobile diventa un vero e proprio computer portatile con dei propri sistemi operativi e dei propri Application Store – magazzini di applicazioni che faranno da intermediari con le relative piattaforme di servizio in internet..
La Apple farà così da apripista a un nuovo modello di business in cui sarà possibile, per le aziende creatrici di servizi mobile su internet, offrire applicazioni di utilità svariate che sono direttamente scaricabili da ogni utente – così spodestando le telco dalla precedente posizione di intermediazione obbligata.
In definitiva, la rete internet diventa un crogiolo di iniziative imprenditoriali fondate sullo sviluppo di piattaforme applicative pronte a offrire alle persone connesse sia servizi tradizionali (ma in veste nuova) che innovativi spaziando in ogni campo – comunicazione, informazione, intrattenimento, produttività, ecc.
Il ruolo delle ex aziende telefoniche – nel contesto di questo nuovo ecosistema digitale – rimane fondamentale ma, evidentemente, meno esteso e spumeggiante in termini di innovazioni applicative di quello che all’inizio di questo processo le stesse pensavano di poter giocare.
Il nuovo corso della pubblicità delle telco
Abbandonati i sogni di gloria di un proprio protagonismo nell’ambito dei servizi applicativi in internet, le telco hanno reimpostato le loro campagne dovendo anche difendersi da un certo sentiment negativo da parte dell’utenza che, affascinata e desiderosa di usufruire di servizi internet diventati fondamentali per le loro vite, vive il loro ruolo di sentinelle e amministratori dell’accesso con fastidio – da questo punto di vista, gli abbonamenti flat e i piani maggiorati della quantità di dati scambiabili in rete diventano dei rimedi lenitivi.
Tuttavia, queste campagne hanno anche un altro genere di problema, quello di differenziarsi dai propri competitor visto che le telco si ritrovano tutte schiacciate sulle stesse funzionalità – perlopiù la connettività di accesso. Su questo tema sono così costrette a impegnarsi e fornire assicurazioni in termini di qualità delle performance, affidabilità, evoluzione delle tecnologie, espansione dei piani di traffico, customer caring.
Insomma, argomenti importanti ma, in termini di effetti scenografici per la comunicazione pubblicitaria, poco sexy. Un certo brio in queste campagne si è aggiunto con l’opportunità di poter parlare anche di cinema dopo che il marketing telco ha escogitato nelle offerte bundle – associando ai servizi di connessione broadband gli abbonamenti in streaming on demand di film e serie tv – un modo per differenziarsi (e a noi, forse, di non annoiarci…).
Riferimenti
“Così degli spot della compagnia telefonica AT&T avevano previsto esattamente il futuro 29 anni fa“, La Repubblica, 7/1/2022.
Trotman, A., Zhang, J., 2013, Future Web Growth and its Consequences for Web Search Architecture, Cornell University.