Dalla crisi del controllo alla svolta dell’iper-controllo
Una delle tesi più interessanti sulle tecniche di marketing e della pubblicità ci spiega come la loro nascita scaturisca dalla reazione ad uno stato avanzante di crisi di controllo. La forte spinta industriale dell’Ottocento potenziò enormemente una capacità produttiva che, improvvisamente, si trovò nelle condizione di dover/poter allargare il raggio della vendita, espandendo gli orizzonti del mercato e del consumo. Il marketing e l’advertising si posero il problema di studiare ed elaborare se e come far incontrare/collimare gli interessi ormai “diffusi” di produttori e consumatori. A distanza di secoli possiamo dire che il marketing ha guadagnato stima e dignità riguardo al compito originario. Sull’efficacia della pubblicità, invece, i pareri sono meno concordi se ancora oggi vediamo come continui ad imperare il detto “spray and pray”. Le chance di scrollarsi di dosso questo eterno scetticismo sull’effettiva capacità di agganciare con cognizione e tempismo le puntuali esigenze della potenziale utenza sono però di molto aumentate con la diffusione e utilizzazione degli strumenti e della comunicazione online.
All’inizio di questa riflessione una premessa va fatta su ciò che abbiamo nel frattempo sperimentato; dove vi è la possibilità di trovare persone o ambienti/eventi polarizzanti un’umana attenzione, vi è ormai certezza di imbattersi in qualche forma di consiglio all’acquisto elaborata dalle strategie del marketing. Conseguentemente, l’attenzione sollecitata dal bisogno informativo e di vario intrattenimento servita dai media classici quali giornali, radio e televisione si è rivelata un’attrattiva poderosa per gli investimenti pubblicitari, diventati nel tempo l’architrave della loro stessa sopravvivenza. Lo stesso andazzo si sta perpetuando con i nuovi media, soprattutto alla luce della nostra tendenza a dimorarvi abitualmente attraverso il largo spettro di dispositivi fissi e mobili utilizzati senza cesure di discontinuità in termini di attività e di posizionamento spazio- temporale. E su (e da) questo nuovo contesto di mezzi e abitudini che stanno proliferando ragionamenti e modi di operare che sembrano convincerci che sia ormai giunto il momento di veder avverata l’originaria speranza di poter lavorare sul cortocircuito tra desiderio e immediato soddisfacimento del consumatore. L’acquisizione da parte del social network di microblogging Twitter di un’azienda poco nota ai più, ma che svolge un grande ruolo nella pubblicità online nel segmento digitale del mobile, è l’occasione per alzare il velo su alcuni aspetti di quelli che, per dirla con i sociologi Luhman e Giddens, si possono definire come dei nuovi sistemi esperti che proceduralizzano, attraverso la tecnologia e la tecnica, competenze, saperi e routine in cui (misteriosamente) ci ritroviamo poi ad operare e confidare.
Le dimensioni della pubblicità digitale
Intanto, proviamo a dare una dimensione economica all’advertising. Come si vede, gli spostamenti degli investimenti da un canale all’altro sono evidenti. Essendo un driver fondamentale per gli sviluppi della Rete, essa stessa una vetrina naturale di esposizione e vendita, il mondo digitale è molto attento e attivo a cavalcare e guidare le possibilità evolutive del fenomeno pubblicitario grazie agli avanzamenti su base tecnologica. Sulla Rete troviamo così anche attente riflessioni sul cambio profondo che le tecniche di marketing stanno affrontando. La creatività e l’indirizzamento astratto verso masse/gruppi più o meno ben profilati inizia a lasciare il passo a tecniche che si alimentano prevalentemente dall’analisi incrociate di un’enorme mole di dati estratti dalle tracce digitali delle attività e presenza online delle persone.
Se si pensa alle possibilità di tracciamento personale tramite il cellulare – dal posizionamento delle celle al rilevamento sensoriale o alle attività social – possiamo ben dire che i vari intercettori di dati hanno un problema di sovrabbondanza il cui limite è solo la fantasia e, al momento, le barriere legali. Oppure, forse la cosa più temuta, il probabile rigetto personale per la rivelazione di quanta profonda sia la loro capacità intrusiva. In effetti, il discorso è complesso ma non possiamo negare che ormai viaggiamo costantemente sul filo di un compromesso tra le possibilità che diamo (prevalentemente di malavoglia) di sbirciare nelle nostre attività/idee e lo sfruttamento personale di servizi per la gran parte “gratuiti”, comodi e ubiqui.
In definitiva, gli avanzamenti nel data-mining sui dati razzolati consentono al marketing di sviluppare profili altamente specifici a livello di singole individualità, basati tra l’altro sugli effettivi comportamenti e i reali pattern di consumo. Ci siamo persino abituati a questa precisione tanto da considerare ancora con più fastidio la pubblicità a largo spettro che associamo quasi al puro spamming.
“Allo stesso modo in cui la disponibilità dei dati ha migliorato la qualità delle potenziali opportunità, la connettività perpetua ha aumentato la quantità. La proliferazione dei dispositivi mobili, il costo decrescente dell’accesso e la popolarità delle piattaforme sociali hanno incrementato il numero delle vie a disposizione dei brand. In ogni caso, questi stessi fattori rendono anche più difficile per loro connettersi: l’attenzione dell’odierna audience è molto più frantumata dal momento che si condividono molti più canali. I consumatori sono anche meglio informati: il controllo sui prezzi è a portata di search, sia se si è davanti alla tv che per shopping. Questo ecosistema in movimento ha già comportato un passaggio da un marketing concentrato sul prodotto e orientato alla transazione, ad un approccio fondato sull’aspetto umano e relazionale. La fedeltà del consumatore al brand è una cosa del passato, sono i brand ora a dimostrare fedeltà ai loro clienti. Le campagne di marketing devono essere consapevoli in termini di timing, luogo e contesto. E’ anche importante essere tecnologicamente a punto: cross-device, multi-canale, e con una misura costante dei risultati della campagna e sua ridefinizione continua. La tecnologia odierna ha mitigato enormemente il problema di come agire ma il problema di misura rimane: i consumatori non vogliono essere inondati con un marketing che è troppo odiosamente generico o troppo intrusivamente specifico. I consumatori vogliono rispettosa pertinenza” (DiResta, 2013).
A proposito di pertinenza, tornerei al “real-time” del titolo soffermandomi appunto sulla frontiera più recente della pubblicità digitale, il Real Time Bidding (RTB), una nuova modalità di distribuzione che ha una portata generale ma che ambisce ad essere di punta per la fruizione mediale tramite gli apparati mobili quali smartphone e tablet. Seguendo il fenomeno RTB ci addentreremo maggiormente nelle profonde articolazioni che le precedenti considerazioni comportano.
La svolta real-time
Partiamo dalla notizia. Twitter ha pagato 350 milioni di dollari per acquistare MoPub, una società che gestisce una piattaforma di servizio per lo scambio della pubblicità riguardanti i dispositivi mobili. Più specificamente, MoPub è la più grande piattaforma RTB presente nel mercato – essa permette alle persone di commercializzare “l’attenzione dedicata ai dispositivi mobili” svolgendo questa funzione “giornalmente, per miliardi di volte”. Pare che la mossa di Twitter, benché costosa, sia azzeccata in quanto cavalca due tendenze generali quali la preferenza, da parte delle persone, a spostare le attività sul versante mobile e la continua spinta dell’advertising ad automatizzare i suoi processi di vendita. I circuiti di automatizzazione della collocazione pubblicitaria mirata sono una novità recente delle tecnologie web e la loro proliferazione è legata alla possibilità di avere informazioni puntuali sugli utilizzatori dei servizi e sulle loro correnti esigenze, soprattutto quando recepite all’interno dei social network. In sintesi, un sistema RTB si preoccupa di far incontrare all’istante la domanda tra chi offre inserzioni pubblicitarie fornendo spazi pubblicitari e chi le cerca in considerazione della massima efficacia in termini di targetizzazione, un processo win-win per le due parti comportando una migliore valorizzazione dei relativi spazi espositivi. I dati su cui si basano questi meccanismi, come abbiamo detto, provengono da diverse fonti. Una delle più comuni è il browser. Esso è spesso maledetto per gli effetti deleteri della tracciabilità che sono insiti in meccanismi quali il cookie, un pezzo di informazione scambiato dinamicamente nelle fasi di navigazione tra il browser e i siti visitati – lo scopo originario è avere memoria dei nostri passaggi così da evitarci la ripetizione delle medesime azioni. In proposito sono nate parecchie iniziative di standardizzazione per consentire una facile disabilitazione del meccanismo, ad esempio la richiesta preventiva di “do not track” ai siti web e agli advertising server che il browser, a nome dell’utente, può lanciare in fase di navigazione. Ma non dobbiamo essere ingenui. Come dimostra un recente studio, è possibile individuare un utente internet – con il 94% di probabilità di successo – dalle specificità uniche dell’impronte digitali rilasciate dal proprio dispositivo hw/sw tramite la combinazione unica di diverse caratteristiche (Acar et al, 2013). (La resistenza da parte delle lobby degli advertiser ai nuovi meccanismi di “do not track” è comunque giustificata dal fatto che la tracciabilità tramite cookie è molto più semplice e diffusa e le alternative richiedono maggiori investimenti e politiche di armonizzazione tra i software di interfacciamento già funzionanti e ben distribuiti nei circuiti specializzati). In ogni caso, il browser può dire all’advertiser cosa si è visto (una macchina fotografica) e dove si è visto. Il dato più prezioso è sicuramente cosa la persona guarda (a cosa è interessato) mentre dove si guarda è parte di una statistica importante ma più facile da reperire. Tuttavia, con i social network la qualità di conoscenza catturabile attraverso i dati che facilitano la targetizzazione delle persone è cambiata radicalmente. Prendiamo Twitter. Esso sa molto di noi: da chi siamo seguiti, cosa ci interessa (cosa scriviamo), cosa seguiamo, mentre i bottoni che ci permettono di loggarci tramite il suo portale sono distribuiti ovunque. Questi dati hanno un valore unico a livello di web real-time e la loro utilità potrebbe valere a lungo. Se la “intent window” relativa alla macchina fotografica potrebbe durare 1 o 2 settimane, il fatto di essere ammiratori di qualcuno indica una categoria demografica che non cambia per anni. Questo è noto solo a Twitter o Facebook ed è un dato che vale perché legato all’ID Twitter e non al cookie, che può cambiare nel tempo o essere eliminato intenzionalmente.
Targetizzazione e attribuzione
Un sistema come MoPub svolge il lavoro di massimizzare il valore dello spazio pubblicitario rispetto alle esigenze che al momento gli inserzionisti comunicano di avere. Possedere un sistema tra i più grandi nella propria rete aziendale rende il publisher più confidente dell’obiettivo di poter massimizzare i propri spazi e non condividerne i guadagni. Ma il vantaggio è ancora maggiore se guardiamo alla possibilità derivate dal controllo di tutta la user experience dell’utente.
“Nonostante ci sia valore, ad esempio, nel sapere età, genere, status, il vero peso specifico è nel conoscerne l’identità: sapere che la stessa persona che sta guardando un paio di scarpe su un certo sito dal computer del lavoro è la stessa persona che sta intrattenendosi usando l’iPhone poco dopo mentre attende un amico, e anche quella che sta interrogando Twitter sull’iPad quando torna a casa di notte. A metter insieme quelle esperienze (desktop+ 2 mobile device) solo poche aziende oggi riescono a farlo (Google, Apple, Amazon e Facebook, tra gli altri)” (Garcia, 2013).
Una volta identificati tramite l’account ed associati alle impronte digitali fornite dai vari device, le nostre esperienze di navigazione sono monitorabili per tutto il tempo. A questo punto, la magia è sfruttata da MoPub in termini di targetizzazione e attribuzione.
“Ovviamente, se la persona che sta navigando il sito delle scarpe non è più rintracciabile dal desktop advertising Exchange – ad esempio, non sta più utilizzando quell’esatto browser – i dati che si hanno sono inutili … Ma se lo è, allora il valore dello spazio espositivo dal prezzo di 0,20$ (per mille impression) passa a 20$ …” (Garcia, 2013).
Ma così diventa anche più semplice il processo di attribuzione, poiché se qualcuno clicca e compra in seguito alla proposta del messaggio promozionale, si sa che ciò è dovuto al fatto che si era sul sito Twitter. A questo punto i prezzi dei suoi spazi possono essere venduti su base asta a un livello più alto.
Google è stato un capostipite delle tecnologie automatiche del commercio e rilascio della pubblicità con piattaforme quali Google Display Network, DoubleClick Ad Exchange, Invite Media, seguita a suo tempo da Microsoft – ma con risultati nettamente diversi dato il minor traino giocato dai suoi servizi di searching per il mondo web –, ma tutta una nuova schiera di soggetti si sono o stanno inserendosi nella scia. Facebook, ad esempio, nel 2012 ha introdotto una sua propria piattaforma di scambio automatico e dinamico di commercio dell’advertising, FBX, e comunque questo genere di commercio automatico sta diventando una norma, come dimostra il fresco annuncio di avere in casa un simile sistema da parte di Foursquare, l’applicazione social web e mobile che usa la geolocalizzazione per condividere la propria posizione con i propri contatti. Nel grafico accanto abbiamo l’evoluzione dell’RTB e le proiezioni al 2016. La linea in blu nel grafico rappresenta la percentuale di pubblicità digitale rispetto al totale che viene gestita tramite modalità RTB (28% nel 2016), mentre il valore delle colonne in nero ne rappresentano il valore assoluto in milioni di dollari – parliamo degli Stati Uniti (la linea rossa registra la percentuale di incremento dell’RTB, con un tasso di crescita/adozione inizialmente impetuoso che va a stabilizzarsi una volta diventata una modalità consolidata).
Il back-end
Per finire, proveremo a illustrare i meccanismi che “per miliardi di volte al giorno” scattano a fronte del nostro placido navigare e del silenzioso operare delle tecnologie RTB.
Ricapitolando: un sistema RTB consente agli editori di mettere all’asta (in tempo reale) i propri spazi pubblicitari e agli inserzionisti di proporre la cifra da puntare per quella determinata impression, sempre più caratterizzabile in termini di target e quindi più efficace ma anche più costosa – non è un caso che si parli, per questo segmento, di pubblicità premium. Il processo è completamente governato da piattaforme informatiche – ad server, SSP (Sell Side Platform), DSP (Demand Side Platform), RTB Exchange. I sistemi DSP organizzano e gestiscono il lato della domanda degli spazi pubblicitari – i compratori – che rispondono ogni volta a un’offerta (bid) lanciata dai sistemi dell’SSP, ovvero dal fronte dei venditori, i quali chiudono il processo dopo aver scelto la migliore e aver inserito l’advertising nel relativo slot. In effetti, le pagine web sono un insieme di contenuti provenienti dalle fonti più disparate e assemblati all’istante. In genere, una parte di advertising visualizzata nelle proprie pagine web è gestita dagli stessi editori del sito – in media, il 50% dell’aree riservate alla pubblicità – mentre il resto è popolato tramite i vari circuiti degli ad network. Un esempio del processo di popolamento delle pagine web è descritto da Wikipedia:
“Un certo utente visita un website che mostra una pagina con un solo slot pubblicitario. Una chiamata viene allora attivata dal server di scambio (il data base web server) che supporta il Real Time Bidding (RTB) verso il Demand Side Platforms (DSP) o l’Ad Networks (Ad Exchange) per determinare quale inserzionista vuole inserire il messaggio. Ogni utente ha associato un set di attributi (cookie) che sono trasferiti dall’exchage server al DSP e ciò determina il livello di interesse dell’inserzionista rispetto al target che vuole raggiungere. In base al valore percepito di questo utente gli inserzionisti avanzano un’offerta. La più alta si aggiudica l’inserimento nella pagina. Spieghiamoci meglio con un semplice esempio: un utente punta a una pagina su un sito (l’editore) e parte il downloading della stessa. Nel medesimo istante l’editore invia una ‘richiesta di offerta’ a migliaia di potenziali compratori di spazi pubblicitari dicendo ‘noi abbiamo questo utente che ha 30 anni, indiano, di genere maschile e residente nel New Jersey (USA), che ha recentemente ricercato un biglietto di ritorno per Delhi aprendo una pagina nel nostro sito. Quanto sei disposto a offrire per essere il solo inserzionista su questa pagina?’ Entro un tempo di circa 100 millesecondi l’editore riceve le offerte da diversi inserzionisti, e a sua volta analizza il gruppo per determinare sia l’offerta più alta che i brand da pubblicizzare. Il vincitore è avvertito dall’editore, che gli permette di piazzare il messaggio nella pagina web. La cosa più strabiliante dell’intero processo è la velocità e la frequenza. Le intere serie di comunicazioni a due vie tra editore e inserzionisti impiegano 300-500 millisecondi e non provocano ritardi apprezzabili all’utente. Questo processo è ripetuto per ogni slot pubblicitario presente nella pagina”.
Chiuderei con una considerazione. Spesso sono proprio le industrie più legate al corpo desiderante, quali il porno e appunto la pubblicità, ad avere il migliore feeling con i nuovi sistemi mediali così da poterne sfruttare immediatamente l’intelligenza per i propri vantaggi. Un’altra dimostrazione di come, richiamando la lezione dello storico e filosofo dei media John Durham Peters, di quel corpo i media sono una stretta emanazione.
Riferimenti
Acar et al., 2013, FPDetective: Dusting the Web for Fingerprinters
Beniger, J, 1995, Le origini della società dell’informazione. La rivoluzione del controllo, Torino, Utet.
DiResta, R., 2013, “Demographics are dead: the new, technical face of marketing“, radar.oreilly.com, 3/11.
“Foursquare Opens Up Its Self-Serve Ad Platform“, allthingsd.com, 14/10/2003.
Garcia, A., 2013, “Why Twitter Buying MoPub Is a Very Big Deal“, Medium.com, 27/10.
Peters, J. D., 2005, Parlare al vento. Storia dell’idea di comunicazione, Roma, Meltemi.