In questi ultimi anni, sull’onda del clamore suscitato dall’argomento, sono aumentate le pubblicazioni che indagano i meccanismi di sviluppo delle nuove reti di comunicazione, Internet innanzitutto.
Tuttavia, dopo un inizio euforico e delle analisi tutto sommato semplicistiche, assistiamo finalmente a delle riflessioni che paiono prediligere un approccio allargato alla complessità della materia, più aderente alle molteplici dimensioni (sociali, economiche, politiche, culturali) di cui tali tecnologie sono espressione e allo stesso tempo elementi attivi di definizione.
Da questo punto di vista uno dei riferimenti più interessanti è il lavoro monumentale del sociologo Manuel Castells, tra i primi studiosi al mondo a realizzare che “è la Rete il messaggio ed Internet il messaggero” (Castells, 1996, 1997, 2001).
In effetti tale impostazione ha il merito di porre in primo piano le condizioni che predispongono le tecnologie, oltre che, e ciò è già di per sé un gran tema, le loro svariate implicazioni sociali. È abbastanza intuitivo infatti vedere come la metafora Rete, mettendo al centro del discorso delle tecnologie di interrelazione che esplorano e aiutano a configurare reti comunicative di scambio, costringa ad occuparsi delle loro ricadute sociali ma anche dei luoghi e delle modalità che originano i new media, oltre che di Internet come spazio peculiare per l’elaborazione di nuovi codici di significato (Paccagnella, 2002).
Per dare un’idea, sono oramai cinque i domini di indagine ben consolidati su cui ruota la ricerca: l’ineguaglianza nell’accesso (‘digital divide’), il fare comunità e acquisire capitale sociale, la partecipazione politica, la capacità di organizzarsi (lavoro, economia, ecc.), la partecipazione e la diversità culturale (Di Maggio e altri, 2001), tutti aspetti sociali vitali su cui, non a caso, sono aperti enormi processi di rinegoziazione.
Per coglierli appieno nel loro concreto divenire ho scelto di affrontare il complesso scenario dei new media trattando il tema della costruzione sociale di un artefatto che, utilizzando le reti computerizzate ed i nuovi linguaggi digitali per trasportare la voce sulla rete Internet, si pone in alternativa al tradizionale sistema telefonico.
La vicenda presentata in un lavoro monografico dal titolo “L’Internet Telephony: storia sociale di un medium della new economy” descrive una tecnologia che sta assumendo un carattere destabilizzante per l’equilibrio fin qui consolidatosi nel mondo delle telecomunicazioni, ma ci rapporta anche con la storia e le ricche articolazioni tematiche di un altro dispositivo di rete della nostra modernità, e cioè il telefono, un apparato tanto familiare quanto teoricamente trascurato dalle scienze sociali.
Tale impostazione analitica, come avremo modo di costatare, si presenta feconda per interpretare sul terreno reale e in un ottica sociale progettazione, negoziazioni e assorbimento delle tecnologie di rete. Intanto, con il lavoro sull’Internet Telephony si coglie l’occasione di trattare in maniera più organica, appunto perché interrelate, com’è evidente già nel nome, l’ultima e la prima delle tecnologie comunicative di rete con un vasto impatto sociale e di significativa innovazione rispetto al passato.
L’inserimento di un’applicazione tecnologica in una prospettiva storica, a nostro giudizio, è un percorso necessario per evidenziare gli elementi di continuità e discontinuità relativamente alle procedure di elaborazione e alle funzioni dei sistemi di comunicazione della tarda modernità. Ciò per meglio seguirne il “media-morfizzarsi” (Fidler, 1997) senza doverci improvvisamente meravigliare o preoccupare, secondo i volubili paradigmi teorici del momento.
Si è ritenuto che lo stato d’ibridazione tra il nuovo che prepotentemente avanza e il telefono, con il suo portato tradizionale (tecnologico, normativo, economico), possa far emergere gli snodi tematici nonché i problematici equilibri che, in termini di azione e soluzioni socio-tecniche, si propongono continuamente alla nostra attenzione. Il sistema telefonico dunque, anche per l’evidente familiarità che di esso abbiamo, come chiave per entrare nell’affascinante ma spesso ostico mondo delle reti telematiche.
Il lettore, in definitiva, avrà un approccio ‘evolutivo’ in cui dovrebbero comunque emergere, nello stridore dell’abbraccio tradizione-innovazione visto in un attuale e concreto ‘case study’, due diversi modi di intendere la comunicazione, due mondi che interpretano ed ereditano dei propri modelli tecno-economici e socio-culturali. Nella prefazione del libro (Abruzzese, Borrelli, 2002) si parla appunto del confronto tra due differenti orizzonti ermeneutici: dare la voce alla Rete è una operazione tecnologica che può essere suggestivamente paragonata a quella che fornì la voce al cinema, ed è nel segno delle reazioni attorno ai due fenomeni che possiamo comprendere il senso dei cambiamenti nel frattempo avvenuti, collegando necessariamente il piano della strumentazione tecnologica a quello del significato sociale.
Tuttavia, sono così tanti gli elementi di riflessione attuali nel telefono da poter fondare su di esso una vera e propria sociologia a cui ci piacerebbe pensare di aver, seppur molto parzialmente, contribuito.
È un’esigenza questa più volte auspicata nel passato, come ha ben riassunto recentemente la sociologa Leopoldina Fortunati (1995, p. 18), eppure mai organicamente sistematizzata nonostante il vasto insieme di aspetti che, anche solo in termini di legami sociali, da quelli organizzativi a quelli più intimistici, tale dispositivo di mediazione ha interessato e alimentato, il più delle volte, come avremo modo di mostrare, in maniera inattesa (e non casualmente essendo tra i mass-media dell’Ottocento il più personale ed interattivo).
Parlavamo del telefono come di un dispositivo del mondo occidentale tanto naturalizzato quanto teoricamente trascurato. Ebbene, un inciso: sembra che il telefono debba vivere perennemente nella sua ambivalente presenza-assenza anche in rapporto agli studi sociali sui media.
Il fatto di essere stato il dispositivo più trascurato perché completamente interiorizzato nei nostri usi routinari, estensione fisica del nostro corpo e delle nostre facoltà, diviene a posteriori il più chiaro indicatore di un fenomeno che lo rende proprio ora affascinante.
Senonché è quando i cambiamenti tecnologici divengono pervasivi, familiari e poco interessanti che essi hanno modo di influire sulla società. Questa è una vecchia storia. Pochi ricercatori pensano al telefono ora (…) sebbene esso abbia influenzato le strutture sociali e spaziali delle comunità (Wellman, 2001).
Sono questi i momenti in cui la tecnologia offre il massimo, in cui dispiega quella che Wellman definisce, prelevando il termine “affordance” dalle scienze cognitive (indica l’insieme delle operazioni consentite dall’oggetto, o percepite come tali dall’utente) la sua “affordance sociale” in termini di strutture e relazioni presenti o latenti nella società.
Ed ecco dunque la sua importanza per l’attuale stato di evoluzione della rete Internet: svanita la prima fase della meraviglia (anni ’90), del “cyber-this” e del “cyber-that” la Rete è ormai scesa dal “firmamento” per collocarsi nella vita quotidiana.
Come Internet diviene parte dell’esistenza di tutti i giorni e non sembra più essere la chiave per guadagnare cifre con molti zeri, inizia ad essere utilizzata in maniera stabile e meno vigile. Vi è il pericolo che sia ignorata in quanto normalizzata, proprio come il telefono fu ignorato per mezzo secolo nonostante potenziasse la capacità delle persone nel lavorare e nel cercare una comunità con gli altri distanti (Wellman, 2002, p. 7).
Vi è dunque una ricchezza di spunti che il patrimonio sociologico del telefono ha già espresso o potrebbe esprimere. Rispetto a tale patrimonio il lavoro sull’Internet Telephony opera forzatamente una selezione che sviluppa prevalentemente le problematiche strutturali, quelle cioè più tipiche delle fasi ideative, produttive e di lancio di una nuova tecnologia comunicativa.
È una scelta precisa che si colloca nella particolare situazione di negoziazione che stiamo vivendo e a cui abbiamo precedentemente accennato, e in questo senso la scelta accoglie indirettamente quanto lo storico dei media Peppino Ortoleva, tra l’altro uno dei primi studiosi italiani del telefono, avanzava in un suo intervento circa la necessità di introdurre un’intellettualità sociotecnica tra i nostri saperi per analizzare la tecnologia del XXI secolo (Ortoleva, 1998).
Cercare cioè di comprendere le dinamiche che governano i grandi sistemi della comunicazione moderna soprattutto in quegli aspetti sociali di costruzione e governo della tecnologia. Un invito che non casualmente parlava di democrazia e inevitabilità dei sistemi tecnologici nelle società complesse, sia nella loro natura descrittiva – quella nata per soddisfare le esigenze degli utenti – che prescrittiva, la più vincolante ma che tuttavia, per certi versi, si giustifica nei tentativi di anticiparne, appunto pre-organizzando, le esigenze.
Tali dinamiche hanno reso i grandi sistemi tecnologici materia organica della società moderna (Ortoleva, 1995) e le loro specificità si proiettano inerzialmente sul futuro. Tra l’altro questi dispositivi, anche quando si presentavano come un sotto-nucleo di altri sistemi – ruolo frequente per le reti di comunicazione – sono stati terreno di esperienze, sperimentazioni e confinamenti ricchi di insegnamento.
Oggi siamo qui a rioccuparci del tema in quanto le reti di comunicazione ed i loro fantasmagorici terminali sono poste addirittura al centro di uno sviluppo che sicuramente non appare più lineare e facilmente prevedibile nei suoi effetti.
In questo panorama il telefono detiene una sua peculiarità essendo la rete telefonica
l’esempio d’eccellenza di una rete sociale in quanto ha la funzione non solamente di fornire un servizio ma di permettere una varietà di relazioni (…) [ed è] un vero e proprio doppio, o un parallelo tecnologico del sistema delle relazioni sociali, che ne ripete la varietà, la complessità, la distribuzione (Ortoleva, 1998, p. 86).
Le caratteristiche polimorfiche di tali strumenti venivano segnalate in uno dei primi tentativi di valutazione e sistematizzazione degli impatti sociali del telefono (De Sola Pool, 1977) dove si sottolineava la difficoltà di afferrarne univocamente gli effetti, spesso sfuggenti alle logiche semplici della causalità.
Ad esempio, con l’introduzione del telefono nella vita sociale i medici vedevano diminuire il numero delle visite che erano costretti ad effettuare a casa del malato nonostante ne avessero previsto l’incremento perché più semplice richiederle (evitava il viaggio fino alla casa del medico per concordarne le modalità).
Oppure, mentre il telefono invadeva la nostra privacy con il suo trillo contemporaneamente la difendeva permettendoci di sbrigare velocemente le pratiche da casa. Esso permetteva la dispersione dei centri di autorità ma allo stesso tempo garantiva una stretta e continua supervisione delle attività decentralizzate da parte della stessa autorità centrale.
Il telefono rendeva l’informazione più disponibile ma riduceva o eliminava le tracce scritte che documentano i fatti. Favoriva l’espansione urbana e la migrazione di massa verso la periferia, abitativa e produttiva, ma aiutava a creare i centri congestionati dove si addensavano le attività direzionali, assumendo tra l’altro un ruolo fondamentale nello sviluppo di architetture costruttive ad alta concentrazione d’attività come il grattacielo, impensabili senza un dispositivo di coordinamento che evitasse al minimo lo spostamento delle persone.
Ma il telefono ha avuto un ruolo essenziale anche nelle esperienze psicologiche tipicamente moderne, ad esempio nel cosiddetto fenomeno della disaggregazione spazio-temporale (Giddens, 1990) in quanto porta nella quotidianità delle persone la possibilità di essere contemporaneamente presente ed attivo in luoghi lontani, oppure attiva la coabitazione con la “presenza dell’assente” sia a causa dell’implicita consapevolezza di essere immediatamente raggiungibile e disponibile per le persone distanti, sia nel senso, amplificato a dismisura dalla telefonia mobile (Gergen, 2002), di forte coinvolgimento interattivo che scherma e rende inutile (fastidiosa?) agli altri la propria presenza.
Altrettanto rilevante è dunque l’esperienza di negoziazione del confine tra gli spazi privati e quelli considerati pubblici ed il loro sovrapporsi: tema attualissimo nella comunicazione mobile ma che ha inizio nel momento in cui lo spazio casalingo, spazio privato per eccellenza, viene perforato dalla comunicazione telefonica (Flichy, 1991) e, nell’altro verso, quando distanti dai confini ‘domestici’, si riattrae a sé il calore degli affetti e degli ambienti locali grazie alla comunicazione vocale.
Queste pratiche esperienziali di “connettività complesse”, che ci fanno “sentire a casa nel mondo” danno il senso di ciò che si definisce globalizzazione:
la ‘prossimità’ che deriva dall’intreccio di relazioni sociali formatosi in ampi segmenti di spazio-tempo, prossimità che insinua nella nostra esperienza locale eventi e potenze remoti (Tomlinson, 1999, p. 22).
Dicevamo che il telefono deve molto del suo successo alla flessibilità che l’utenza ha trovato rispetto alla possibilità di costruire delle proprie micro-reti sociali d’interesse e delle proprie pratiche prosaiche, spesso alimentate dal ‘chiacchericcio’, da quello che si considera, con una logica efficientista, superfluo ma che si dimostra poi fondamentale nel sostentamento dei rapporti sociali (Fisher, 1992; Marvin, 1990).
Tra l’altro, la prima vittima della rete telefonica, che poteva contare su un’interfaccia ‘user-friendly’ come la voce, è stato il telegrafo e cioè la prima rete dati globale definita recentemente come “l’Internet vittoriano” (Standage, 2000).
Effettivamente la voce trasportata avanti ed indietro sui circuiti di rame, ottici o aerei in modalità istantanea e puntuale ha una forza davanti cui s’inchina anche l’acuto filosofo francese della ‘cyberculture’, Pierre Lévy, quando paragona la comunicazione telefonica a quella che avviene in un mondo virtuale, dove il messaggio implica l’immagine della persona e quella della situazione, e che individua nell’immediatezza e nella qualità del contatto stabilito con l’interlocutore
non con un’immagine del suo corpo, ma con la stessa voce, dimensione essenziale della sua manifestazione fisica. La voce del mio interlocutore è veramente presente nel momento in cui la ricevo attraverso il telefono. Non sento un’immagine della sua voce, ma la sua voce vera (…) tutta una dimensione affettiva attraversa ‘interattivamente’ la comunicazione telefonica. Il telefono è il primo media di ‘telepresenza’ (Levy, 1997, p. 25)
Il telefono in quanto medium è anche la dimostrazione della capacità umana di adattarsi velocemente alle nuove forme della comunicazione: la conversazione telefonica, per quanto sostituisca quella faccia-a-faccia, diviene così connaturata che spesso ci comportiamo, soprattutto in condizione d’intimità con il chiamato, mimando la stessa gestualità di una conversazione in presenza.
Oppure è l’estensione stessa di una persona in quanto non riusciamo a non rispondere ad un telefono che trilla perché, a parte la curiosità per un’imminente ‘apertura’, potrebbe essere un gesto scortese, come se la persona fosse lì presente. Il medium-telefono, in effetti, è una forma partecipazionale che esige il partner (McLuhan, 1964, p. 285)
Curioso fu un esperimento fatto da un antropologo che prese i numeri telefonici di alcuni apparecchi della stazione Centrale e dell’aereoporto Kennedy di New York. Provò a telefonare e quasi sempre qualcuno rispondeva. Chiedeva il perché e la risposta data era semplicemente “Perché trilla” (Chandler, 1994).
A dimostrazione della produttività della sociologia del telefono in un recente saggio (Borrelli, 2000) dedicato alla sua storia, con una particolare vista italiana, si ripercorrono originalmente tutti questi argomenti e se ne sviluppano, non solo attraverso la lente sociologica, di nuovi proponendo una mappa densa e sofisticata di temi (comunità senza contiguità, mass-media e personal media, locale e globale, gerarchizzazione e orizzontalità, virtualizzazione della presenza e costruzione dell’identità, estensioni corporee e fobie, …) che possono essere seguiti tramite una chiave di lettura semplice: che cosa ha fatto il telefono alla società e, soprattutto, cosa quest’ultima ha fatto del telefono.
Quando ci si colloca nella realtà è doveroso infatti pensare all’appropriazione critica degli artefatti tecnici, a come questi vengono accolti e adattati in relazione alle caratteristiche delle singole comunità, ad esempio alla “porosità” della socialità meridionale e alla sua arguzia tecnica (entrambe le qualità furono notate da filosofi recatesi in vacanza nel sud d’Italia).
La prima si riferisce alla capacità di rinnovare le configurazioni sociali, una continua realizzazione dunque di possibilità ‘virtuali’, preservandole e avviluppandole in nuove relazioni sociali, più adatte alle situazioni locali. La seconda invece, conosciuta come “filosofia del rotto”, richiama il modo peculiare di riappropriarsi della tecnica
(…) i congegni tecnici sono quasi sempre rotti: soltanto in via eccezionale e per puro caso, si trova qualcosa d’intatto (…). Non funzionano non tanto perché sono rotti, ma in quanto per il napoletano le cose cominciano a funzionare soltanto quando sono rotte. Per lui, l’essenza della tecnica risiede principalmente nel far funzionare le cose rotte. Ed è abilissimo nel destreggiarsi con le macchine difettose (…). Per contro, le cose intatte, quelle che, per così dire, funzionano per conto loro, lo insospettiscono; proprio perché vanno da sole, uno non può mai dire come e dove andranno a finire (…) (Borrelli, 2000, p. 189).
Ma inseguendo questo filone possiamo anche scoprire (all’ingegnosità umana o alla sua ingenuità, dipende dal punto di vista, non c’è mai fine) come furono utilizzate nel 1996 il 25% delle cornette telefoniche delle cabine a pagamento installate dalla locale compagnia di telecomunicazioni nel Borneo: i pescatori le ‘prelevarono’ utilizzandole per emettere dei suoni durante la pesca, un potente e moderno strumento di richiamo per attrarre i pesci (Katz, 1999).
Per chiudere, la più ovvia considerazione che possiamo fare da un punto di vista strutturale è che senza il sistema telefonico la stessa Internet non sarebbe nata. In effetti il telefono ed il suo sistema di rete sono nel dna di Internet: i suoi primi computer, ma ancora oggi la grande maggioranza dei suoi utenti, si servivano delle sue linee e dei suoi apparati di commutazione per scambiarsi i flussi di dati.
Attualmente la parte ‘core’ (apparati centrali) delle nuovi reti (le cosiddette autostrade informatiche) sono ‘asset’ a sé stanti che funzionano con altre logiche ma nella parte finale della rete, quella più vicina all’utenza (il ‘local loop’ o ‘ultimo miglio’) è ancora il doppino telefonico a far la parte del leone, anche quando si veste della qualità ‘broadband’ (a banda larga) e cioè delle tecnologie di modulazione ‘DSL’ che sostituiscono il ricetrasmettitore che collega il computer ad Internet (il classico modem dial-up) ampliandone le capacità di trasporto.
Questa stretta interazione infrastrutturale sta dominando le fortune e le sfortune della ‘net economy’. È noto infatti che l’accesso ad Internet ha avuto un sostanziale incremento d’utenza grazie alle offerte Free Internet che hanno sgravato l’utenza del pagamento dell’abbonamento all’Internet Service Provider (ISP).
Ciò è potuto accadere, almeno in Europa dove vige la tariffazione a tempo, perché i guadagni derivano dal consumo telefonico che finiscono agli ISP direttamente, quando anche gestori del servizio telefonico, o indirettamente (in percentuale, ‘revenue sharing’, con il gestore telefonico) perché forti aggregatori di traffico. La sfortuna evidentemente è nella difficoltà che gli ISP hanno di competere con i proprietari delle infrastrutture più vicine agli utenti, normalmente i preesistenti gestori del servizio voce (il servizio che vale da solo l’80-90% dei fatturati tlc).
Il tradizionale cavo domestico diviene, a meno di non affiancarlo con un altro cavo impegnando forti investimenti, una risorsa scarsa che può essere utilizzata alternativamente per il servizio voce o per quello dati. La regolamentazione nel settore tlc non ha solo questo compito, garantire le condizioni di utilizzo in un regime di competitività, ma anche uno d’indirizzo politico, e cioè facilitare l’avvento di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale che vede nelle tecnologie delle informazioni e della comunicazione (ICT, Information & Communication Technology) la struttura abilitante.
L’opera d’intermediazione delle varie ‘authority’ è resa tuttavia complessa dalla stessa evoluzione tecnologica: cosa accade nel momento in cui le tecnologie di modulazione (vedi l’attuale ADSL) creano sullo stesso cavo due linee virtuali indipendenti, quella per la voce e quella per i dati, e la voce si può trasportare sulla linea dati?
Negli Stati Uniti il tema è oramai all’ordine del giorno essendo i servizi di Internet Telephony, elaborati e sviluppati nel mondo variegato della Rete (community, hacker, piccole aziende e gruppi di progetto transnazionali) alla portata della singola utenza, spesso anche in maniera gratuita (Forbes; New York Times; Chicago Tribune; Multichannel News; International Herald Tribune; USA Today; 2003).
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