Un percorso ragionato su logiche, funzioni ed effetti collaterali
Dopo un periodo non proprio breve sono riuscito a chiudere in un libro – La pubblicità nella rete. Evoluzione dei dispositivi promozionali del marketing – alcune riflessioni e ragionamenti sulla pubblicità digitale. Colgo dunque l’occasione per ricapitolare alcuni dei motivi che mi hanno portato a pubblicarlo.
Innanzitutto, la pubblicità è un insieme affascinante di molte cose, un complesso di elementi, tecniche e arti messe al lavoro per raggiungere dei risultati nella promozione di beni, servizi o anche idee. Gli scopi e interessi che, nella sua lunga storia, l’hanno sempre mossa hanno saputo stimolare e coinvolgere – con l’elaborazione di strategie e pratiche creative – la razionalità e i sentimenti di milioni di persone, in un processo di continuo adattamento alle stagioni economiche, sociali e culturali.
In effetti, l’osmosi della sua opera con i nostri habitat di vita ha la testimonianza nella nostra abilità di saper collocare nel tempo una campagna pubblicitaria guardandone lo stile, la forma o i contenuti dei messaggi – un destino, questo, che l’accomuna con i prodotti della moda.
Al contempo, la pervasività del linguaggio pubblicitario – incardinato ai media in quanto veicoli generali per l’elaborazione e la diffusione di contenuti – fa breccia nelle provincie di senso delle nostre vite, alimentando talvolta nell’immaginario comune il successo di una qualche marca o idea, condizione che può aiutarci successivamente a semplificare il ventaglio delle possibili opzioni.
Alla luce di tutto ciò, è lecito affermare che la pubblicità – un tema spesso relegato ai soli circuiti degli specialisti settoriali – è intrigante per i suoi numerosi risvolti, mentre è evidente il ruolo non secondario che gioca nel nostro vivere quotidiano – e, più in generale, nella cultura popolare.
Ovviamente, la pubblicità potrebbe non essere l’unico – e neanche il più prioritario – dei temi importanti ma trascurati in termini di impatto per le nostre esistenze.
Tuttavia, è proprio quando ci si immerge nella storia di questa industria e nelle sue molte ramificazioni – sondandone ragioni, logiche funzionali e culturali, ed evoluzioni – che emergono tra le pieghe anche questioni che, al momento, possiamo definire spinose per i dilemmi che ci pongono, problemi a cui abbiamo riservato una colpevole trascuratezza, soprattutto quando le tecnologie digitali di rete andavano dimostrando una pervicacia profonda nell’insediarsi in ogni attività umana.
Una pervicacia, guarda caso, di cui è ancora più dotata la stessa pubblicità che – come ricordava ironicamente Marshall McLuhan già nel 1947 in un saggio ad essa dedicato – è perennemente spinta a risolvere le piccole eppure critiche esigenze che le persone sperimentano quotidianamente, per cui è costantemente impegnata a pensare
a come debellare il cattivo odore delle ascelle, la forfora, i peli superflui, la gracilità del fisico, l’aridità dei capelli, l’anemia mediterranea, il gomito del tennista, l’intestino pigro, per non parlare della carenza di ferro, della depressione, del senso cadente, della piorrea, dei pantaloni lisi, della canizie precoce e dell’eccesso di peso.
Nelle saldatura che il collante digitale ha così messo in atto tra i piani operativi di molte attività, quella che coinvolge l’urgenza pubblicitaria ha prodotto questioni su cui ora dovremmo essere costretti a tornare – sempre che, beninteso, le reputiamo, per una qualche ragione, critiche.
Nel lasciarvi la decisione – se tornare o meno sui problemi aperti – e nella speranza di poter contribuire con questo lavoro a districarne qualche nodo, proverò a richiamarne alcuni:
a) come la pubblicità sappia rigenerarsi e adattarsi a ogni cambio di orizzonte comunicativo – locandine/cartellonistica, stampa, radio, televisione, internet – supportando economicamente, a volte totalmente, la produzione dei relativi contenuti mediali, con la ragionevole pretesa di condizionarne la fruizione;
b) quanto la pubblicità abbia influito sulla diffusione e sui modi di creare o utilizzare quella pletora di servizi e strumenti digitali che ormai popolano e alimentano le nostre attività in ogni ambito di interesse;
c) quanto l’evoluzione del lavoro pubblicitario, che è un’evoluzione strettamente collegata anche ai cambiamenti dei mezzi di comunicazione, si sia ibridata con gli interessi dei nuovi giganti mediali della rete, e con l’affermazione e lo sfruttamento su larga scala di tecnologie terribilmente potenti su cui, come singoli individui, abbiamo scarso controllo;
d) quanto tali tecnologie di rete ci stanno proiettando in una cultura algoritmica, vale a dire, verso un continuo slittamento di delega del lavoro della cultura – consistente generalmente nel selezionare, classificare e gerarchizzare persone, luoghi, oggetti e idee – a processi computazionali basati su big data e intelligenza artificiale, processi funzionanti ormai in ogni applicazione online e ogni smart device, ad iniziare dallo smartphone;
e) quanto questi processi computazionali stiano poi modificando i modi in cui pratichiamo, sperimentiamo e comprendiamo le stesse persone, luoghi, oggetti e idee;
f) quanto l’esigenza del marketing di ricevere dei feedback dal mercato sui servizi e beni prodotti, e sui suoi consumatori, abbia influito sullo sdoganamento di pratiche che tengono in piedi aziende di cui si parla ormai in termini di “capitalismo della sorveglianza” per la loro abilità di guadagnare estraendo valore dal monitoraggio dei dati prodotti dalle attività online condotte dai singoli utenti.
Riferimenti
McLuhan, M. H., 1947, “American Advertising”, in Horizon a Review of Literature & Art, London, 1947; trad. it. parziale, La cultura come Business, Armando, Roma 1998.
Petullà, L., La pubblicità nella rete. Evoluzione dei dispositivi promozionali del marketing, indipendently published, 2021.