La cultura del real-time
Parte 1/ L’ideologia della velocità
In questi ultimi anni abbiamo letto e assistito a sviscerate discussioni sui cambiamenti apportati alla nostra mente dagli strumenti digitali e dalla Rete, soprattutto dopo la loro definitiva affermazione e diffusione conseguente al popolamento delle grandi reti dei social network.
Commentando le molte riflessioni sul tema all’interno del suo ultimo lavoro Ossessioni collettive, l’indomabile teorico e critico dei media Geert Lovink lamenta come sia facile che questo genere di analisi manchino di
studiare le molteplici logiche culturali meno ovvie – il tempo reale, il linkare opposto al “mi piace”, l’ascesa dei web nazionali [ …e non riescano a dare…] risalto a quegli aspetti quotidiani nell’uso di internet che spesso passano inosservati […trascurando così di evidenziare quelle caratteristiche grazie a cui può infondersi la…] vita all’interno del mondo tecnologico (2012, p. 77).
Stiamo accorgendoci, evidentemente, dello scarto qualitativo che si sta creando tra le analisi e teorie che provano a spiegare i nuovi sviluppi mediali e le pratiche adottate da una crescente moltitudine umana. Una distanza difficile da colmare, come afferma il mediologo Alberto Abruzzese, se si continuano a studiare i media con “strumentazioni” e approcci concettuali inadeguati. Ad esempio,
non si può più fare critica dei nuovi media solo in base a chi ne ha la proprietà. Non lo si sarebbe mai dovuto fare neanche prima, mentre invece lo si è fatto mano a mano che la comunicazione entrava nel cuore propulsore della fabbrica e del mercato … Forse dovremmo lasciare perdere questo girare a vuoto tra stregati, cinici e castigatori dei linguaggi numerici. Ad occupare davvero il territorio sono le imprese virtuali e i consumatori digitali. Sono gli algoritmi. Con le strade, le ferrovie e le navi il capitalismo ha cominciato a fare mondo e tuttavia gli abitanti inclusi in quel farsi apparentemente spontaneo del mondo non sono restati abbandonati in un deserto, ma si sono trasformati (2012, p. 26).
Nell’ambito di un lavoro ancora in progress mi ero riproposto di contribuire in qualche modo a questo genere di indagine considerando problematiche che, pur nel loro molteplice e indefinito sviluppo, rimangono centrali per capire come funzionano i media per la società e le persone. Tra i tanti approfondimenti utili ho quindi recuperato un saggio estremamente intelligente che si focalizza sui cambiamenti che stiamo esperendo nella nuova vita digitalizzata: qui ne riporterò una sintesi ragionata che, scusandomi anticipatamente, potrà soffrire dei miei limiti interpretativi.
La connettività complessa
Noto e profondo interprete della “connettività complessa” e degli effetti culturali della globalizzazione (1999), il sociologo e critico culturale John Tomlinson ha prodotto un’estesa riflessione proprio sulla “cultura della velocità” e sulle nuove dimensioni da essa assunte in questo inizio di XXI secolo, convergendo secondo me significativamente in direzione di quel campo di studi genericamente chiamato mediologia.
Vi sono diverse ragioni per riprendere il suo lavoro in maniera estesa; una riguarda la qualità e incisività dello studio, che avanza partendo da una trattazione molto attenta a ciò che intorno al tema è stato precedentemente argomentato.
Un altro motivo è legato al metodo del percorso seguito, pieno di spunti critici ma anche di difficoltà interpretative, momentaneamente risolte a livello esplicativo accettando con franchezza e apertura la relativa ambiguità e limitatezza della spiegazione.
Tuttavia, la ragione più importante è che tutti gli argomenti toccati sono parte dell’humus che sostanzia le dinamiche dei moderni media, cosicché il lavoro di Tomlinson ha il merito di rifarli convergere su un argomento di grande impatto per le nostre attuali esistenze, ovvero la condizione del vivere comunicativamente in real-time.
Per raschiare la superficie e iniziare a intravedere, per dirla con Lovink, le “logiche culturali meno ovvie”, Tomlinson parte dalla considerazione che la velocità è un principio e un’esperienza tipica e fondamentale della modernità.
In generale, alla sua idea si associano tre aspetti. Innanzitutto, velocità è rapidità d’azione, vale a dire possibilità di incrementare i ritmi di vita, tanto che il suo contrario, la lentezza, contrassegna frequentemente l’organizzazione di movimenti – vedi slow food, slow city, ecc. – che provano a contrastare le tendenze acceleranti dei modi di vita in vari ambiti funzionali e logistici, sperando di recuperare i tempi della tradizione.
In secondo luogo, velocità significa rapidità di spostamento, e dunque possibilità di coprire in poco tempo distanze. Ciò si declina anche diversamente, e cioè nella quantità di eventi che si possono vivere in un certo lasso di tempo, un’esperienza che, dipendendo dalle nostre risorse in termini di energia, tempo e capacità di attribuire significati, è specifica di ogni persona. In generale, questa qualità si incorpora alle nostre routine di vita rivelandosi solo nei momenti in cui incontriamo impedimenti, ad esempio negli intoppi ai movimenti che mettono in discussione quanto precedentemente programmato. É in questi momenti che «la velocità come movimento fisico si intreccia con la velocità intesa come quantità di eventi» (p. 3).
Infine, il terzo aspetto ha a che fare con la sua accoglienza culturale. L’incremento del passo della vita ha sempre riscosso allo stesso tempo entusiasmi e critiche, e tuttavia per il singolo non è semplice stabilire il suo portato di piacere e pena, esaltazione e stress, emancipazione e dominanza.
Nonostante il termine sia frequentemente associato per denotare negativamente un’azione – ad esempio, si sente parlare spesso di cose fatte frettolosamente o appositamente velocizzate per confonderci –, la sua ambigua attrattività dà vita a tutta una serie di narrative. Tuttavia, almeno a livello comune, si può registrare un’ampia concordanza sulla positività delle attitudini circa la speditezza nel fare o il veloce coordinamento degli obiettivi, caratteristiche importanti del suo portato.
Ad ogni modo, nota Tomlinson, l’ambiguità irrisolta si riflette nell’annegare tutto in un generico richiamo allo “stile di vita” del tempo, correttamente correlato al tema della modernità.
In effetti, la velocità ha accompagnato costantemente i discorsi sulla modernità ma, a parte rari casi, non è diventato mai di per sé un tema centrale negli studi sociologici. Famose rimangono le osservazioni di Marx sul tempo che annulla lo spazio, soprattutto in relazione alla circolazione del capitale e alla distanza dei mercati che, liberati dai vincoli spaziali, si legano direttamente alle performance temporali.
Anche per Max Weber la velocità, insieme a precisione, conoscenza, neutralità, divisione dei compiti, ecc., è un aspetto caratterizzante della modernità. Egli la mette in relazione (non casualmente) all’affermazione del sistema delle macchine e alla “fredda” burocrazia – nella pratica quest’ultima si rivelerà più un idel-tipo che un meccanismo neutrale ed efficiente.
Alla fine, con rare eccezioni, si può dire che quasi tutti i teorici hanno trattato la velocità come collaterale alle dinamiche sociali (produzione industriale, capitalismo, individualismo) e ai suoi contesti (società di massa, urbanismo, razionalismo, secolarizzazione), tutti elementi universalmente riconosciuti come costitutivi della modernità.
Per trovare qualcosa di più denso a livello di velocizzazione delle esperienze bisogna rivolgersi ai cosiddetti “sociologi impressionisti”. Nella Filosofia del denaro Georg Simmel nota come l’incremento di circolazione del denaro produca effetti psicologici inducendo sentimenti contrastanti in piccoli frazioni di tempo. É il caso delle vicende azionarie in cui si alternano ottimismo e pessimismo, o delle pratiche d’investimento che vivono le oscillazioni nervose legate all’imponderabile. Tuttavia, anche per lui sono fenomeni conseguenti una vita mentale più ricca dovuta al nuovo ambiente urbano e all’assembramento di presenze umane in spazi relativamente ristretti.
A questo punto è giusto domandarsi quale sia il motivo che ha spinto Tomlinson ha individuare la “cultura” della velocità come argomento centrale della vita odierna. Per lo studioso, qualunque analisi delle condizioni di vita attuali non può prescindere da una discesa nel cuore “ideologico” della modernità.
Fondamentalmente, in un contesto in cui spicca un notevole spostamento da una tipo di cultura che passa da esperienze maturate in ambienti agricoli-rurali a vite vissute in aree urbane e industriali, la cultura della velocità implica la conquista della natura attraverso sistemi macchinici così come la credenza non problematizzata di un progresso senza fine.
Esiziale in questa storia è il modo in cui si cerca di disciplinare gli impulsi implicitamente violenti e instabili prodotti dalla modernità sociale ed economica – di cui la velocità è una problematica primaria – in una cultura di regolazione razionale. É stata una storia che ha avuto successo nel dare forma a una cultura della velocità che, nonostante le attuali critiche, continua a funzionare nel grande pubblico così come nella politica» (p. 7).
Per Tomlinson, la “normalizzazione” della cultura della velocità ha teso a nascondere le zone d’ombra costituite dai rischi, dall’implicita violenza e dai piaceri sensuali-estetici derivanti della sua esperienza.
Questo è un discorso che abbraccia uno spettro di impulsi trasgressivi e ribelli che rendono irritante la superficie liscia e ordinata della modernità istituzionalizzata. E per causa sua si forma una narrativa della velocità che è ‘intrattabile’ sia nell’orientamento che nella espressione. Sovversiva e impetuosa, unendo l’edonismo con una particolare specie di eroismo esistenziale, essa vacilla costantemente sull’orlo del baratro verso la violenza e il caos» (p. 9).
Data la sua instabilità, questa narrativa eversiva e impulsiva non ha mai scalzato quella razionalistica: entrambe coesistono senza che vi sia una netta linea di demarcazione – neanche politica, se si rammenta l’unanimità nell’ammirare i futuristi o ai metodi scientifici del lavoro da parte delle opposte coalizioni politiche.
In effetti, nessuna delle due narrative (razionalistica ed eversiva) trionferà sull’altra mentre, al contempo, stiamo assistendo a una originale ri-caratterizzazione del significato della velocità:
Possiamo identificare un emergente principio culturale caratterizzante le società contemporanee globalizzate e telemediatizzate: ciò che chiamerò, esplorando tutte le ambiguità del termine, il principio di immediatezza.
Come spesso accade, vi è molta continuità tra fenomeni similari, ma pure uno scarto notevole:
in modi significativi, e in particolare come conseguenza della influenza ubiqua della telemediatizzazione, l’immediatezza altera l’influsso culturale della velocità, mettendo a rischio alcuni presupposti iniziali e instaurando nuove realtà comuni (p. 10).
Il lato oscuro della velocità
Interessante ai fini dell’analisi delle nuove condizioni mediali è ciò che la dimensione artistica, tramite le sue concettualizzazioni, opere e movimenti, riesce a esprimere e rivelare rispetto all’incedere della realtà economica e produttiva affermatasi nelle società moderne.
La velocità veicolata attraverso le tecnologie si presenta come aspetto necessario per valori quali ragione, ordine e progresso mentre il capitalismo, con il suo impeto e la rapacità nel fare profitti, facilita un’ideologia sociale che stressa il controllo, la gestione, la pianificazione e il coordinamento.
Nella modernità la razionalità non è comunque tutto e il fine di tutto. Insieme alla razionalizzazione della velocità come progresso si è sviluppato un immaginario abbastanza diverso sulla velocità macchinica, che si associa a elementi indisputabilmente meno razionali quali l’eccitamento, il brivido, il pericolo, il rischio e la violenza. Prima che si possa generalizzare sul significato culturale della velocità dobbiamo sicuramente prestare attenzione a questo altro intrattabile figlio della modernità meccanica. E dunque, crucialmente, ci dobbiamo chiedere come questi due discorsi si relazionano (p. 44).
É il movimento artistico del Futurismo agli inizi del XX secolo (Marinetti, Balla, Boccioni, ecc.) che ha una forte consapevolezza del fatto che tutte le nuove tecnologie, del trasporto ma anche dell’informazione, stanno dando vita a una nuova forma di sensibilità e di esperienza che cambia l’essere umano.
La loro arte ha proprio il merito di evidenziare l’indicibile: l’apprezzamento per l’esperienza sensuale-estetica derivante dalla velocità come bene desiderabile in sé; il godimento che può assicurare, nonostante rischi e danni, solo il travalicamento dei confini delle esperienze sanciti dalle società tradizionali; il fascino esistenziale/eroico/trasgressivo del bordeggiare questi limiti; l’inestricabilità dell’intreccio velocità/violenza.
Su questo tema – l’integrazione di sistemi di piacere in sistemi di necessità – si apre un campo di esplorazione enorme che, ancora una volta, dimostra le difficoltà e ambiguità con cui si confronta qualunque discorso sull’abitare umano e sociale.
Per comprendere la velocità non solo come mezzo per un fine ma realtà piacevole in sé, ci dice Tomlinson, dovremmo intersecare approfondimenti eterogenei in termine di fisiologia, psicoanalisi, ergonomia, filosofia, ecc.
Tuttavia, una volta tratteggiate le linee su cui si è sviluppato il concetto di velocità derivante dalla precedente era (fondamentalmente “meccanica”), sono le basi tecnologiche, in particolare comunicazionali, a designare per Tomlinson il contesto socio-culturale del XXI secolo.
Che la velocità si sia trasformata in immediatezza è possibile presumerlo da tutto un insieme di cambiamenti registrabili a livello di pratiche, esperienze e valori, indizi così evidenti che vale la pena di riportarli nella loro panoramica unitarietà.
La condizione di immediatezza
Tomlinson indica alcune aree di attività significative per comprendere la portata e il radicamento dell’attuale svolta, che lui vede in connessione diretta con il definitivo sbocco del precedente stato di “accelerazione” nella attuale condizione d’immediatezza:
- l’offuscamento dei confini tra tempo di lavoro e tempo libero che passa soprattutto dall’uso massiccio dei computer in ambienti domestici. Un rapporto che mette in crisi la distinzione apportata dal capitalismo moderno tra lavoro temporizzato e orientamento al compito;
- la disponibilità incredibile di risorse informative raccolte nella rete internet, divenuta, con i suoi motori di ricerca, il primo posto per reperire informazioni;
- l’estensione di qualunque attività sulle 24 ore (lavoro, divertimento, consumo);
- la copertura continua e in real time delle informazioni in tutti i formati – broadcasting, personale, online, ecc – , che si accompagna allo scorrere della nostra vita;
- la migrazione/consegna dei servizi a/da centri di gestione distanti contattati con mezzi telematici/telefonici;
- la trasformazione della fotografia e delle riprese filmiche, che diventano possibilità onnipresenti e facilmente gestibili in tutte le loro fasi (produzione e pubblicazione), e che rimodulano i termini di una forma espressiva che ha contrassegnato la modernità;
- l’affermarsi di nuovi tipi di patologie relazionabili agli ambienti digitali, ad esempio frustrazioni, ansietà, rabbia per problemi inerenti l’utilizzo o la perdita di dati, o per virus, spam, pagine cancellate, ecc.;
- l’instaurarsi di percorsi lavorativi che hanno come necessità la flessibilità e l’educazione permanente, con carriere che procedono sul filo del continuo cambiamento;
- l’assunzione – pur problematica per i costi ambientali – che i desideri e consumi delle persone possano essere esauditi, insieme a un generale spostamento dal mero possesso dei beni a una forma di accesso veloce e di rapida consegna;
- il parlare comunemente di multitasking – termine prima riferito solo al computing – per descrivere le attività parallele portate avanti dalle persone, e il riferimento allo stress come male che ha sostituito precedenti e comuni patologie lamentate sul posto del lavoro, ad esempio il mal di schiena ;
- una cultura globale che accomuna, sia nello stile che nelle relazioni, i giovani riguardo al massiccio uso dei cellulari;
- l’ubiquità di tastiere e schermi, e la relativa capacità di gestirli, diventati un aspetto normale nella nostra vita quotidiana;
- infine, un senso generalizzato di preoccupazione per un progresso che non è visto più come un inarrestabile miglioramento di vita, e dunque il progredire solo con obiettivi di corto raggio.
Per Tomlinson il termine immediatezza rimanda a più significati. In relazione allo spazio indica
libertà da agenti intermedi, relazione o connessione diretta, prossimità, vicinanza.
In relazione al tempo,
coesistente al tempo corrente, all’istante, che accade senza ritardi nel tempo, svolto all’istante.
La scelta del termine è fatta per i suoi densi risvolti (nonostante quello temporale appaia decisivo). In ogni caso, rispetto alla multidimensionalità a cui rimanda, sono tre gli assi su cui è possibile concentrarsi più proficuamente per svilupparne il discorso.
Per prima cosa, con l’idea di istantaneità una cultura si abitua alla consegna rapida, alla disponibilità ubiqua e alla gratificazione immediata dei desideri. Sottostante a questo vi è un’economia e una cultura del lavoro che non solo la supporta ma che ne incrementa costantemente le potenzialità. É questo il significato più vicino alla spinta progressiva legata al concetto classico (meccanico) di velocità, accettato sia dai critici che dagli alfieri del modernismo.
In secondo luogo, come il termine stesso di immediato nella lingua latina suggerisce (“non separato”), non abbiamo solo un’esperienza di velocità ma anche di prossimità, in pratica, una dissoluzione della mediazione. Potremmo definirlo in termini di
chiusura della distanza che ha storicamente separato l’adesso dal dopo, il qui dal là, il desiderio dalla soddisfazione (p. 74),
insomma l’eliminazione di quella stessa separazione che motivava la sfida e lo sforzo per ottenere una sempre più necessaria velocità – in questo senso l’immediatezza è la fine dell’era meccanica.
Come terzo aspetto, una caratteristica che è in tensione rispetto al termine “fine” di un’era inteso come scopo e conclusione, l’immediatezza
comporta una chiara implicazione del significato cruciale dei media nella cultura moderna. Questo è vero sia nel senso generale del ruolo crescente che la comunicazione elettronica e i sistemi dei media hanno nelle routine della vita quotidiana, sia più specificamente nel modo distinto e che non ha precedenti di un’esperienza culturale telemediata tipica della modernità globale del XXI secolo. Lo scrutinio della natura telemediata dell’esperienza attuale rivela una fecondità nell’evidente tensione tra la crescente dipendenza dai media e l’idea di immediatezza come guida verso l’abolizione della distanza e della separazione. I media sono elementi indispensabili nella realizzazione così come nella spiegazione di questa condizione. Tutto ciò non implica che sono i media il centro dell’analisi, piuttosto centrale è come la loro integrazione nella modernità ne stia trasformando le dimensioni – globalizzazione, deterritorializzazione, cambiamento dei metodi e delle relazioni negli ambiti produttivi, distributivi e del consumo, produzione di nuove opportunità, eccitamento e soddisfazione ma anche ansietà e patologia, insomma la definizione di un nuovo contesto in cui nascono implicazioni nelle sensibilità emozionali ed estetiche, e forse la trasformazione delle nostre predisposizioni e degli orizzonti etici (p. 74).
In conclusione, il fenomeno dell’immediatezza potrebbe risultare particolarmente efficace come chiave interpretativa per analizzare alcune tendenze di esperienza e sviluppo delle attuali condizione socio-culturali rispetto, ad esempio, a metafore più ricorrenti come quella della liquidità teorizzata dal sociologo Zygmunt Bauman.
La fluidità o liquidità cerca di catturare la nuova ontologia del sociale evidenziando la natura permeabile e proteiforme dello spazio sociale, l’intrinseca mobilità sia degli agenti che dei processi sociali e relazionali, e la fenomenologia dell’esistenza sociale moderna, non solo in termini di esperienze di mobilità e deterritorializzazione, ma anche di costante dissoluzione della fissità dei valori e di una diversa “tessitura” di vita.
Le metafore della liquidità sono efficaci per mettere a punto i cambiamenti ma, a detta di Tomlinson, hanno dei limiti nel descrivere i processi nella loro interezza e ambivalenza. Lo si può capire dall’attenzione a non equiparare leggerezza dei processi e lievità delle conseguenze, quasi tutte declinate in senso negativo.
Allo stesso tempo, la metafora della fluidità non evidenzia appropriatamente, come invece può fare l’immediatezza, la facilità con cui possiamo agire ed effettivamente spostare, ottenere e fruire “merci”. In sostanza, la prima non apprezza come cambia il concetto di sforzo, a cui era associato il paradigma della velocità meccanica.
Al contrario, nella metafora dell’immediatezza risalta maggiormente una velocità non richiedente sforzo che si sposa con le nuove tipologie di merci e di lavoro, e con le stesse che si rapportano diversamente con la socialità, creatività, ecc., un passaggio sottolineato dall’uso estensivo del tocco leggiadro della mano su tastiere e schermi di apparati ICT.
Per altri versi, anche allo stesso capitalismo visto come beneficiario principale degli ultimi cambiamenti dovrebbe essere riservata un’analisi che sappia incorporare le ambiguità della condizione. Nell’immaginario esso è stato sempre associato alla velocità ma il prefisso di fast– o turbo (capitalismo) che ultimamente lo precede non dovrebbe passare inosservato.
Non è solo una questione di estremizzazione di intensità, energia e mancanza di rimorso nell’applicare i suoi principi costitutivi di convenienza e sfruttamento, ottenuti soprattutto grazie alla mobilità transnazionale sviluppata su basi tecnologiche.
Sono molti gli aspetti qualitativi legati alla connettività complessa ed estesa, e dunque all’approvvigionamento flessibile e globale di materiali e componenti, alla deterritorializzazione della produzione, all’automazione dei processi, alle nuove modalità di lavoro e distribuzione tramite web, alle integrazione tecnologiche garantite dall’ICT in tutte le componenti produttive e non, a iniziare da quelle finanziarie, che riescono a gestire i capitali in complessi prodotti che corrono veloci, spesso cambiando forma, da un angolo all’altro del mondo. Un aspetto quest’ultimo veramente delicato in quanto fonte di frizioni, rischi e scollamenti rispetto ai circuiti dell’economia reale, a cui sono necessariamente collegati ma che evolvono con un passo di maturazione certamente più lento.
Riguardo a un tale contesto appaiono abbastanza mitizzate le critiche basate sul concetto di liquidità che si rifanno alla dimensione della naturalità, quasi che appartenessimo a un ordine biologico fisso e non, come è, a un insieme plasmabile e adattabile, mentre sembrano più accettabili le osservazioni evidenzianti le difficoltà a cui sono sottoposti i piani organizzativi o i gradi di flessibilità sopportabili durante una vita lavorativa.
Ad ogni modo, queste critiche lasciano sempre adito a una mancanza di completezza.
Un analisi culturale deve fare molto di più. Essa ha bisogno, se non vuole perdere la fiducia per la capacità di agire dell’uomo, di avere a che fare con l’attrazione, le comodità e le soddisfazioni disponibili nel (o almeno che si presentano all’interno del) contesto della modernità capitalistica contemporanea. E ciò è necessario per due ragioni. La prima è perché la vita sotto il capitalismo non è un’esperienza culturale monolitica. Naturalmente, il capitalismo influenza molte delle esperienze culturali ma esse esistono anche senza di esso …[se così non fosse non riusciremmo a spiegare] la complessa mistura di piacere e frustrazione, gioie e paure, comodità e insicurezze, che contrassegnano l’esperienza culturale nelle ricche società occidentali…. Seconda cosa, è importante riconoscere i termini dell’accordo che le persone hanno implicitamente accettato nel capitalismo – che è possibile criticare i cambiamenti e le sue mistificazioni – un accordo che, in verità, pochi di noi hanno la forza di rifiutare senza consegnarsi alla marginalità» (p. 86).
La condizione di immediatezza si presta a rimettere in gioco e smussare determinate rigidità e implica la ricerca di nuove forme di equilibrio tra necessità e convenienze. É il caso ad esempio della compenetrazione degli ambiti lavorativi e domestici, dove è sempre più probabile gestire le comunicazione lavorative sia per rispondere a uno stimolo competitivo, sia per acquisire più flessibilità temporale.
Da questo punto di vista, nota Tomlinson, vi è in generale uno spostamento (quasi un ritorno) nel modo di intendere il lavoro che richiama il tipico orientamento al compito che si aveva nella precedente cultura contadina e che Edward P. Thompson così descrive:
Per prima cosa, esso è umanamente molto più comprensibile del lavoro temporizzato. Il contadino sembra impegnato in ciò che è una necessità che si può osservare. Secondo, una comunità in cui l’orientamento al compito è comune sembra mostrare demarcazioni meno pronunciate tra “vita” e “lavoro”. Interazione sociale e lavoro sono mischiate – il giorno lavorativo si allunga o accorcia in base al compito – e non vi è un gran conflitto tra il lavoro e il “passare del giorno”. Terzo, alle persone abituate al lavoro temporizzato dall’orologio questa attitudine al lavoro sembra essere uno spreco ed una mancanza di urgenza (1991, p. 358).
Ovviamente, il nuovo portato dell’esperienza di immediatezza vive in sovrapposizione, come sempre accade nella società, con il sostrato pregresso, ma ciò che sembra venir meno è il legame tra la velocità meccanica e un immaginario che lega certi stadi della modernità con il progresso morale e l’ideologia razionale-scientifica. Anzi, ciò che è chiaro è la disgiunzione delle due narrative della modernità.
Da una parte, l’immaginario che intesseva i valori dell’applicazione, dello sforzo, dell’efficienza, della pianificazione e regolazione diligenti per il miglioramento personale e biografico sospingente un progresso sociale graduale ma affidabile.
Dall’altra, il suo contraltare, la storia “intrattabile, ingovernabile” di una velocità senza controllo e che si ribella alle regole della prima. È qui che entra in gioco l’immediatezza come supporto dinamico di una fase che Tomlinson definisce in termini di
velocità senza progresso, arrivo senza partenza. Ciò che l’immaginario dell’immediatezza suggerisce è che il fine della velocità è ora in qualche modo raggiunto; che noi abbiamo, o come se avessimo, superato il processo – e in particolare la necessità dello sforzo che si richiedeva – che definiva la velocità come un valore indipendente nell’era della modernità meccanica. Forse, è una rivendicazione difficile da ottenere completamente. Ma vi sono evidenti prove nelle nostre pratiche quotidiane, e in particolare nelle nostre interazioni con le nuove tecnologie, che potrebbero supportare questo genere di immaginazione.
Mentre prima lo sforzo incarnava anche questo desiderio e quindi istigava la volontà a superarlo, con tutte le pratiche a contorno,
la cultura dell’immediatezza, al contrario, mette al centro dell’immaginario che la distanza è già chiusa. Ciò evidenzia il cuore etimologico e concettuale del termine: il senso di essere senza intervenire, o senza termine medio. L’immediatezza – chiusura della distanza – è allora più generalmente la ridondanza o l’abolizione del termine di mezzo. In aree significative della vita culturale contemporanea…. – nella nostra interazione con le tecnologie comunicative e i sistemi dei media e nella sfera del consumo – questa ridondanza di mediazione è offerta a noi nella forma di una serie di indizi e di indicazioni su come la vita è (e dovrebbe essere) meglio vissuta. Per esempio, nella rapidità e (comparativamente) nella mancanza di sforzo del comunicare l’un con l’altro via cellulare, noi offriamo l’impressione dell’istantaneità del contatto così come della vicinanza – in realtà di una presenza ubiqua – degli altri. E nelle pratiche del consumo offriamo l’impressione che nuove comodità, convenienze e modi fluiranno indipendentemente dai nostri sforzi individuali; che poco separa il nostro desiderio e la sua soddisfazione, che, quasi come una costante dell’esistenza moderna, i beni comunque continueranno ad arrivare» (Tomlinson 2007, pp. 90-91).
Questa condizione di immediatezza non ha ancora una chiara e comprensibile narrativa e, come ribadisce Tomlinson, vive in termini ambigui segnalando comunque uno spostamento di attitudini e valori.
Non si può allora descriverla semplicisticamente come una facile via di fuga o un indice di disimpegno, e insistere soprattutto sugli aspetti temporali per far alzare un livello di preoccupazioni evidenzianti ansietà culturali: attenzione diminuita, gratificazioni istantanee, cultura spicciola, generazioni dell’adesso – compulsione, meretricio, impazienza.
Così si prende solo il lato “reattivo” del fenomeno, mentre la condizione di immediatezza – e l’ermeneutica dell’esperienza vissuta quotidianamente – deve essere vista nel complesso: per la sua attrazione culturale così come per i suoi pericoli.
(Fine parte 1)
Bibliografia
Abruzzese, A., 2012, La bellezza per me e per te. Saggi contro l’estetica, Napoli, Liguori.
Lovink, G., 2012, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Milano, Egea.
Thompson, E P., 1991, “Time, Work discipline and Industrial Capitalism”, in Customs in Common, London, The Merlin Press
Tomlinson, J., 1999, Sentirsi a casa nel mondo. La cultura come bene globale, Milano, Feltrinelli.
Tomlinson, J., 2007, The Culture of Speed. The Coming of Immediacy, London, Sage.